Via Crucis di tutti noi – 12a Stazione

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Dodicesima stazione: l’agonia e la morte.

Hanno assassinato la parola

“In verità, in verità vi dico; se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto … “ (Gv 12,24).

La lunga, implacabile asfissia, tra il silenzio inquietante del padre e la canea degli uomini.

Gli sforzi immani che compie per respirare non gli impediscono di sentire bestemmie, i sarcasmi, gli insulti, le volgarità.

Gli avvoltoi disegnano cerchi sempre più stretti nel cielo caliginoso. E quelli, sotto, continuano a latrare.

Pilato a quest’ora fa la siesta e spera che sua moglie non abbia più sogni inquietanti.

Il sommo sacerdote aspetta con impazienza che qualcuno venga ad annunciargli che, finalmente, tutto è finito, la faccenda liquidata, e lui potrà mettersi tranquillo dopo tanto trambusto.

Giuda è andato lontano, a mettersi al riparo dalla misericordia.

Pietro, col suo coraggio, sta acquattato chissà dove.

Nel tempio si agitano i Leviti, tra poco avranno inizio i riti della Pasqua.

Hanno messo a tacere la Parola.

Ma Lui, prima di morire, cava fuori da chissà quale profondità del corpo spossato, un grido. Si. E’ il grido di uno che muore. Il grido di uno che prende congedo dal mondo. Ma quello di Gesù è soprattutto il grido di uno che nasce, che esprime così il suo saluto alla vita, allaccia in quel modo la sua relazione col mondo. Il grido di Gesù annuncia la nascita di un’umanità nuova. Sono scomparse le tenebre che fasciavano la terra. Ancora una volta Dio ha dovuto provvedere a separarle perché venisse fuori la luce (Gn 1,4).Il Creatore, come il primo giorno, è ancora all’opera. E spunta così un universo nuovo, totalmente rifatto.

Quel grido è un grido di uno che passa attraverso il buio della morte, ma saluta, al tempo stesso, il Giorno di Dio che spunta all’orizzonte cupo del mondo.

In fondo, quel grido può essere anche il grido della mia nascita nello Spirito. Lo Spirito che, dal fondo del mio essere, mi suggerisce la preghiera del neonato: “Abbà, Padre!”.

Dio, da questo momento, viene promesso a tutti. Non è più il privilegio esclusivo di alcuni.

“E’ diventato il tesoro del povero, il pane dell’affamato, la forza del debole, la luce del cieco, la musica di chi non sa cantare, il silenzio di chi non conosce le parole. Appartiene a tutti” (S.Conduché).

Dio, dunque, ce l’ha fatta a morire. Sembra questo il miracolo, proprio all’opposto di quello preteso dagli infami che Lo sfidavano con i loro sarcasmi sotto la croce.

Ma il vero miracolo sta nell’aver capovolto l’ordine delle cose, per cui la morte diventa annuncio, sorgente di vita.

E tutto comincia dalla fine.

Preghiera

Signore, ti raccomando i suicidi. Tu solo sai perché un uomo arrivi a buttarsi fuori dalla vita.

Ti raccomando le donne che ho visto in certi ospedali egiziani, reparto ustioni, orribilmente sfigurate. Si erano date fuoco cospargendosi di petrolio. La cosa, purtroppo, a quanto mi è stato detto, non è rara. Per loro è preferibile una morte tra spasmi atroci a una vita “impossibile”.

Gesù, ho bisogno personalmente di sostare a lungo sotto la Tua croce per imparare che cos’è l’amore. E, soprattutto, qual è il suo prezzo.

L’amore, infatti, non conteggia. Paga.

Fammi capire che soltanto l’egoista è un abuso della vita, un fallito, anche se i suoi miserabili conti tornano.

La mia vita è inutile, se è inutile d’amore.

Amen.

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