
( Continuazione )
Continuando la lettura del “Testamento”, ascoltiamo:
“il Signore mi diede tanta Fede nelle Chiese che
così semplicemente pregavo e dicevo: – ti adoriamo,
Signore Gesù, in tutte le tue chiese che sono
nel mondo intero e Ti benediciamo perché
con la Tua Santa Croce hai redento il mondo”.
Quando Gesù gli disse: “Va e ripara la mia Chiesa che come vedi è tutta in rovina, Francesco prese quelle parole alla lettera: vide tre chiesette ( S. Damiano, S. Pietro, la Porziuncola, fatiscenti e disse:
“Voglio dare a Dio il prezzo del mio sudore”;
si mise a ricostruirle. Ma ciò non lo fece, come dicono alcuni dei più tardivi biografi, soltanto perché si sbagliò nell’interpretare la parola di Cristo, ma soprattutto perché si sentì concretamente riempire da “tanta Fede nelle Chiese in cui si adorava Dio, proprio le Chiese materiali, nella concretezza più umile: le Chiese fatte di mura per le quali valeva la pena che egli desse il suo tempo e la sua fatica.
Francesco volle restaurare sì la Chiesa, ma la Chiesa di Cristo, quella appartenente al Signore, tanto che i suoi punti di riferimento esecutivi furono quelli che legano concretamente e perfettamente Cristo alla Chiesa: l’Eucaristia ( ed il sacerdozio ) e la Scrittura. Il “Testamento” continua dunque così:
“Poi il Signore mi dette e mi dà tanta fede nei
sacerdoti che vivono secondo la forma della
Santa Chiesa Romana, a causa del loro ordine, che
se mi dovessero perseguitare voglio ricorrere ad essi.
E se io avessi tanta sapienza quanta ne ebbe
Salomone e mi incontrassi in sacerdoti poverelli
di questo mondo, nelle parrocchie dove abitano,
non voglio predicare mai contro la loro volontà.
E questi e tutti gli altri voglio temere, amare ed onorare
come miei signori e non voglio in loro considerare
il peccato, poiché in essi io vedo il Figlio
di Dio e sono miei signori e faccio questo perché
dell’Altissimo figlio di Dio null’altro io vedo
corporalmente in questo mondo se non il santissimo
Corpo e Sangue suo che essi soli consacrano ed
essi solo amministrano”.
Ci sono diversi episodi in cui si racconta come Francesco incontra degli eretici che contestano la Chiesa e vogliono approfittare della sua venuta e lo portano di fronte al prete del paese che vive in concubinato e che è di scandalo e gli chiedono: “allora, che cosa bisogna fare con questo prete?” Francesco gli va incontro e gli dice: “Se tu sei peccatore io non lo so, ma so che le tue mani possono toccare il Verbo di Dio”, e si inginocchia a baciare le mani del prete.
Sacerdozio ed Eucaristia erano per lui due amori assoluti e congiunti.
La “Vita secunda” di Tommaso da Celano diceva:
“Ardeva d’amore in tutte le fibre del suo essere , verso il Sacramento del Corpo del Signore, preso da stupore oltre ogni misura….. voleva che si dimostrasse grande rispetto alle mani del sacerdote perché ad esso è stato conferito il Divino potere di consacrare questo Sacramento “.
Diceva spesso:
“Se mi capitasse di incontrare un Santo che viene
dal cielo ed un sacerdote poverello, saluterei prima
il prete e vorrei baciargli le mani. Direi: – Ohi, aspetta
S.Lorenzo, perché le mani di costui toccano il Verbo
della Vita e possiedono un potere sovrumano!”.
Il pensiero teologico fondamentale di S. Francesco scritto da lui stesso nella “Lettera a tutti i Chierici”, era questo:
“Niente abbiamo e vediamo corporalmente in questo
mondo dello stesso Altissimo, se non il Corpo ed il
Sangue, i nomi e le parole mediante i quali siamo stati
creati e redenti”.
Ecco perché sempre lo stesso suo “Testamento” continua così:
“Dovunque troverò i santissimi nomi e le sue parole
scritte in luoghi indecenti voglio raccoglierle e prego
che siano raccolte e collocate in luoghi decorosi.
E dobbiamo onorare e rispettare tutti i teologi e coloro
che annunciano la divina parola così come coloro che
ci danno lo Spirito e la vita”.
Nella “Vita prima” si legge:
“È impossibile comprendere umanamente la sua com-
mozione quando proferiva il nome di Dio …. Per questo
ovunque trovava qualche scritto di cose divine od umane,
per strada, per casa o sul pavimento lo raccoglieva con grande rispetto riponendolo in un
luogo sacro od almeno decoroso nel timore che vi si
trovasse il nome del Signore o qualsiasi cosa che lo
riguardasse. Ed avendogli, una volta, un confratello,
domandato perché raccogliesse con tanta premura persino
gli scritti dei pagani o quelli che certamente non contenevano
il nome di Dio rispose: – Figlio mio, perché tutte le lettere
possono comporre quel Nome santissimo … –
Cosa ancora più sorprendente quando faceva scrivere
messaggi di saluto o esortazione non permetteva che
si cancellasse una parola o una sillaba anche se superflua
o errata … “.
Noi siamo abituati a pensare di un S. Francesco preoccupato di grandi problemi e di grandi ideali oppure di cose semplici; buone, belle, ma l’insistenza maggiore che la storia documenta è tutta nella preoccupazione e la cura che quest’uomo aveva per quanto gli ricordava con maggiore evidenza e concretezza dell’avvenimento della Salvezza.
C’erano tre cose a cui Francesco veramente teneva.
Anzitutto il Corpo di Cristo. Ne parlava spessissimo con un’insistenza e con una devozione che è rarissimo trovare.
Quando egli inviò i suoi frati nelle varie nazioni europee, per se scelse la Francia, dando come motivazione il fatto che aveva sentito dire che si trattava di un paese in cui l’Eucaristia era particolarmente onorata.
A tutti i governanti (podestà, consoli, giudici, ecc.) egli scrisse:
“Vi consiglio, Signori miei, di posporre ogni altra
cura e sollecitudini e di ricevere di buon grado il
Santissimo Corpo e Sangue di Gesù Cristo”.
E avrebbe voluto, lui poverissimo che non ammetteva il più piccolo oggetto di proprietà, che i suoi frati viaggiassero con pissidi preziose da utilizzare ogni volta che trovassero parrocchie in cui il Santissimo Sacramento dell’altare era conservato con troppo poco onore.
Poi c’era la sua cura per la Sacra Scrittura, per i “nomi divini”, cura che si estendeva addirittura ad ogni scritta, ad ogni parola, con forme che a noi sembrano esagerate.
“Raccomando a tutti i miei frati che dovunque troveranno
scritte le divine parole le venerino come possono e …
le conservino, onorando in quelle parole il Signore che le
ha proferite”.
infine c’è il celebre amore di Francesco verso tutte le creature animati o inanimate.
Ma questo celebre “amore francescano” non nasceva tanto dalla sensibilità o dalla poetica delicatezza di Francesco, quanto dalla sua spiritualità.
la “Leggenda maior” significativamente intitola il capitolo dedicato a questi racconti così:
“COME LE CREATURE PRIVE DI RAGIONE SEMBRANO AFFEZIONARSI A LUI”.
È il contrario di quanto pensiamo abitualmente. Erano le creature che si sentivano amate ed attratte da quest’uomo, esse lo riconoscevano, “sentivano la sua pietà”. E Francesco le amava perché vedeva in esse o il Creatore che le aveva fatte o il Redentore che esse simboleggiavano.
Nella “Vita prima” si dice:
Come descrivere il suo ineffabile amore per le creature di Dio e con quanta dolcezza contemplasse in esse la sapienza, la bontà, la potenza del Creatore…
Perfino per i vermi sentiva grandissimo affetto perché la scrittura ha detto del Signore: – Io sono verme e non un uomo,- e li toglieva dalla strada perché non fossero calpestati”.
Se Francesco vedeva un agnello tra le capre si commuoveva pensando all’Agnello di Dio che camminava in mezzo ai farisei; se vedeva un agnellino morto piangeva pensando all’ Agnello di Dio ucciso (” Ohimè, fratello agnellino che rappresenti Cristo agli uomini!); se vedeva i fiori pensava al ” fiore luminoso spuntato nel cuore dell’inverno”; se vedeva tagliare un albero pregava che si risparmiasse almeno un ramo perché così Cristo era spuntato. Come un ramoscello sul vecchio tronco di Jesse; ed una pietra gli ricordava con commozione Cristo pietra angolare. Gli esempi si possono moltiplicare.
L’amore delle creature era l’ amore alla Paternità di Dio ed alla fraternità di Cristo in cui tutto era significato ed abbracciato.
Il pensiero va, qui, al celebre “Cantico delle Creature”.
Io mi chiedo quanti studenti , quando lo leggono e lo commentano a scuola sanno come è stato composto.
Due anni prima di morire Francesco era ormai consumato dalla malattia. Da più di cinquanta giorni non riusciva a sopportare né la luce del sole di giorno né quella del fuoco la notte. Era, ormai, quasi cieco e con un continuo dolore agli occhi. Gli avevano applicato alle tempie due bottoni di ferro incandescente nel tentativo di cauterizzare la parte malata.
Viveva in una celletta infestata dai topi che di notte gli rosicchiavano il corpo e di giorno gli impedivano di pregare e perfino di mangiare. Ed allora, dice il suo biografo, “Francesco fu mosso a pietà di se stesso” e pregò:
” Signore, vieni in soccorso alla mia infermità”.
E Dio gli propose, da allora in poi, la ” serenità del Suo Regno”.
E messosi a sedere Francesco si concentrò a riflettere e poi disse:
” Altissimo Onnipotente buon Signore…”
e compose anche la musica. Anzi, volle che da allora in poi i suoi frati, quando giravano per città e campagne, prima facessero la predica e poi insegnassero quel cantico alla gente.
Quanti nostri studenti sanno che le belle espressioni con cui Francesco definiva il sole e il fuoco erano così spiegate da lui:
“Siamo tutti ciechi ed il Signore ci illumina gli occhi per mezzo delle Sue Creature”?
Quanti sanno che l’aggettivo usato per le stelle (“preziose”) Francesco lo riserva sempre e solo per l’Eucarestia e per tutto ciò che era destinato ad Essa? E che l’ acqua per lui umile, preziosa e casta ( tanto che non voleva mai sporcarla pestandola con i piedi) perché gli ricordava Cristo umile e puro ” acqua viva”?
Molte altre cose si potrebbero ancora dire su argomenti già troppo noti e troppo poco compresi: l’argomento della pace, quello della povertà; argomenti così spesso staccati da quell’unico amore che li rende comprensibili.
Francesco traeva tutto, ogni valore ed ogni amore, dal suo rapporto con Cristo e, senza questo rapporto, tutto gli sarebbe sembrato risibile ed ingannevole.
Come conclusione vorrei, perciò, ricordarvi ciò che scrive il suo primo biografo:
” i frati che vissero con lui sanno molto bene come ogni giorno, anzi, ogni momento affiorasse sulle sue labbra il ricordo di Cristo, con quanta soavità e dolcezza egli gli parlava, con quale tenero amore discorreva con Lui.
Era davvero molto occupato con Gesù .
Gesù portava sempre nel suo cuore, Gesù sulle sue labbra, Gesù nelle orecchie, Gesù negli occhi, Gesù nelle mani, Gesù in tutte le membra”.
Così pure la “Leggenda Maior” dice:
” Uomo veramente cristiano che con imitazione perfetta si studiò di essere conforme da vivo a Cristo vivente, in morte a Cristo morente, e morto a Cristo morto”.
Francesco amò Cristo in tutta la sua concretezza storica: creante e creata, ecclesiale, eucaristica, biblica, dolorosa e gioiosa. Di lui si disse significativamente:
Fu il più santo fra i santi e tra i peccatori uno di loro”.
QUESTO È IL MISTERO DELLA VITA CRISTIANA: DIVENTARE SANTI SENZA ALCUN ORGOGLIO O SEPARAZIONE, MA, ANZI, SENTENDOSI SEMPRE PIÙ SOLIDALI A TUTTA LA DEBOLEZZA CHE CÈ NEL MONDO E NELLA CHIESA, SEMPRE PIÙ AVVINTI AL DESTINO BUONO DELL’ INTERA CREAZIONE CHE, NELLA FATICA E NEL GEMITO QUOTIDIANO, SI VA LENTAMENTE COMPIENDO.
Quanto mi sento lontano da questo umile e costante cammino verso la identificazione in Cristo come Francesco!
Quanto dobbiamo sentirci lontano! Ma questo non ci deve abbattere: saremmo i superbi che vogliono passare davanti al mondo non come i salvati da un grande Amore di Dio, ma come i perfetti a cui si deve considerazione, superiorità, orgoglioso primato che rende inaccettabili antipatici, insulsi davanti a Dio e davanti agli uomini e sempre più chiusi nel proprio solitario orgoglio!
Lasciamoci aiutare a camminare come Francesco verso Cristo che è stato solidale con la nostra umanità portando i nostri peccati nella propria vita.
Con affetto
Don Angelo
