
Pubblicato su Un popolo in cammino – marzo 1989
“BEATI I POVERI DI SPIRITO PERCHE’ DI ESSI E’ IL REGNO DEI CIELI”
Beati coloro che si rendono poveri perché hanno la capacità che ricevono dal Signore, di valorizzare ogni incontro, ogni persona, ogni gesto compiuto da altri e cogliere in essi il cammino dell’Amore di Dio tra gli uomini.
E’ per questo che propongo alcuni brani scelti perché leggendoli possiamo imparare la vita di Dio, la Sua Carità, la Sua Misericordia, la Sua delicatezza per assomigliargli ogni anno un po di più.
Il cammino è lungo, dura tutta la vita, ma abbiamo tutti lo stesso scopo: “Siate perfetti come è perfetto il Padre mio che sta nei cieli”.
Il segno a cui guardare per imparare è Gesù nella Sua vita tra noi: coraggio, non perdiamoci d’animo anche di fronte ai nostri limiti, ai nostri errori che si ripetono come le cadute di Gesù sulla via della Croce. Ci sorregga la Sua Grazia, il Suo Amore che non viene mai meno……
A tutti buona continuazione del cammino quaresimale e Buona Pasqua nella Carità, nell’Amore di Gesù.
Con tanto affetto
Don Angelo
Papa Giovanni XXIII viene preparato da una lunga successione di responsabilità a salire sulla cattedra di San Pietro come successore di Pio XII. Anche quest’ultima missione affidatagli da Dio è illuminata e vivificata da quel motto “Oboedientia et pax” che è stato il programma di tutta la sua vita.
“Eccoci ora alla Quaresima. Ecco dunque il tempo accettevole – scriveva San Paolo ai Corinti – ecco il giorno della salute (2 Cor. 6, 2) per condurre a più immediata attuazione la legge dell’Amore: di un amore, che ha come principio e fine ultimo il Creatore e legislatore dello universo, Padre della Misericordia e Dio di ogni consolazione (2 Cor. 1,3); di un amore che per edificare gli uomini vuol dare ad essi la conoscenza di quelle verità che rischiarano il cammino, dissipano i dubbi, vincono ogni debolezza; di un Amore che si offre in esempio di austerità di costume, di gaudio sereno, di armoniosa convivenza domestica e sociale. Questo vuol essere la quaresima……, Questo vuol essere altresì il punto più alto, cui si volge l’attenzione di ogni uomo, sul quale batte il raggio della prima e massima verità rivelata, e al tempo stesso accessibile alla ragione umana; la verità che attraversa i secoli, e tutto illumina ed accende: Deus est: Dio è: ego sum qui sum (Es. 3,14) A Lui la gloria e l’amore……
Vogliamo, diletti figli, anzitutto esortarvi ad approfittare della Quaresima con l’applicarvi al gravissimo dovere della istruzione religiosa, e per dare alla penitenza vera ed efficace il posto che le compete, secondo la vocazione e le condizioni di ciascuno. Studio e meditazione delle verità eterne, che Dio ha voluto comunicare all’uomo, l’orizzonte infinito del suo disegno di salvezza e di amore…..
Con l’istituzione della Quaresima, la Chiesa non conduce i suoi figli a semplici esercizi di pratiche esteriori, ma ad impegno serio di amore e di generosità per il bene dei fratelli, alla luce dell’antico insegnamento dei profeti: non è piuttosto questo il digiuno che io amo? Sciogli i legami dell’empietà – ammonisce Isaia – manda liberi gli oppressi e rompi ogni gravame. Spezza il tuo pane all’affamato e apri la tua casa ai poveri e ai raminghi; se vedi un ignudo, ricoprilo e non disprezzare la tua propria carne. Allora la tua luce spunterà come il mattino e la tua salvezza germoglierà presto, la tua giustizia camminerà innanzi a te, e la gloria del Signore ti accoglierà (Is. 58,6-8).
Questa è la Quaresima, Questo l’esercizio della vera penitenza, ed è quanto il Signore attende da tutti, nel tempo accettevole di grazia e di perdono. O Signore Gesù! Che sul limitare della vostra vita pubblica vi ritiraste nel deserto, vogliate attrarre tutti gli uomini al raccoglimento che è inizio di conversione e di salute…..Voi volete provare la solitudine, il sonno, la fame; e al tentatore che vi proponeva la prova dei miracoli, voi rispondeste con la fermezza della eterna parola, che è prodigio di grazia celeste.
Tempo di Quaresima. O Signore! Non permettere che accorriamo alle fontane dissipate ne’ che imitiamo il servo infedele, la vergine stolta; non permettete che il godimento dei beni della terra renda insensibile il nostro cuore al lamento dei poveri, degli ammalati, dei bimbi orfani, degli innumerevoli fratelli nostri che tutt’ora mancano del minimo necessario per mangiare, per ricoprire le ignude membra, per radunare la famiglia sotto un solo tetto. Le acque del Giordano scesero anche su di voi, o Gesù, sotto lo sguardo della folla, ma ben pochi allora poterono riconoscervi: e questo mistero di ritardata fede, o di indifferenza, prolungatosi nei secoli, resta motivo di dolore per quanti vi amano ed hanno ricevuto la missione di farvi conoscere al mondo. Concedete ai sucessori degli apostoli e dei discepoli e a quanti prendono nome da voi e dalla vostra Croce, di portare innanzi l’opera della evangelizzazione, di sostenerla con la preghiera, con la sofferenza, con l’intima fedeltà al vostro volere. E come voi, agnello di innocenza, vi presentaste a Giovanni in atteggiamento di peccatore, attraete anche noi, Gesù, alle acque del Giordano. Là, vogliamo accorrere per confessare i nostri peccati e purificare le nostre anime.
Isacco della Stella nacque in Gran Bretagna. Teologo e filosofo, è uno scrittore spirituale cistercense di prim’ordine. Andò a studiare in Francia con i più celebri maestri della sua epoca. In seguito entrò nell’Abbazia della Stella nel Poitou e ne divenne abate nel 1147. Circa vent’anni dopo, a capo di un piccolo gruppo, stabilì la vita monastica nell’Isola di Re, al largo di La Rochelle. Nei suoi sermoni, Isacco unisce armoniosamente la sostanza teologica della tradizione patristica, le nuove esigenze di un rigoroso approfondimento intellettuale e la sensibilità umana caratteristica della scuola cistercense del XII secolo.
Due cose sono riservare esclusivamente a Dio: l’onore della confessione e il potere della remissione. A lui noi dobbiamo fare la nostra confessione, da lui dobbiamo aspettare la remissione. A Dio solo infatti spetta rimettere i peccati, e perciò solo a lui dobbiamo confessarli. Ma l’onnipotente ha voluto prendersi una sposa piena di difetti, l’Altissimo si è preso una sposa di bassa condizione: di una serva ha fatto una regina, e colei che stava umilmente ai suoi piedi, l’ha posta al suo fianco. Dal suo fianco infatti è uscita la Chiesa: è lì che Cristo l’ha fidanzata a sé. E come tutto ciò che appartiene al Padre appartiene al Figlio, tutto ciò che appartiene al Figlio appartiene al Padre, poiché per natura essi sono una, così lo sposo ha dato alla sposa tutti i suoi beni, e ho voluto condividere tutto ciò che era della sposa, rendendola una cosa sola con se stesso e col Padre. “Voglio – dice il Figlio al Padre – nella sua preghiera per la sposa – che come io e tu siamo uno, così essi siano uno con noi” (cfr. Gv. 17,21)
Lo sposo dunque, che è uno col Padre e uno con la sposa, ha distrutto in lei tutto ciò che vi ha trovato di estraneo, inchiodandolo alla Croce: ha portato i peccati di lei sul legno e attraverso il legno li ha annullati. Quello che è proprio della natura della sposa, lo ha assunto e rivestito, quello che appartiene alla sua natura divina, ce lo ha dato in dono: ha infatti distrutto il diabolico, ha assunto l’umano, ha donato il divino, così che tutto ciò che è della sposa è anche dello sposo. Colui che non ha commesso peccato e nella cui bocca non troviamo inganno (cfr. 1 piet. 2,22), può ben dire allora: Pietà di me, Signore, sono sfinito, guarisci la mia anima perché ho peccato contro di te (Sal. 6, 3; 0, 5). Condivide così non solo la debolezza, ma anche il pianto: tutto è comune allo sposo e alla sposa, l’onore della confessione e il potere della REMISSIONE. Per Questo il Signore dice: và, presentati al sacerdote (Mt. 8,4)…
La Chiesa dunque non può rimettere nulla senza Cristo, e Cristo non vuole rimettere nulla senza la Chiesa. La Chiesa non può rimettere nulla se non a chi è pentito, se non cioè a colui che Cristo ha prima toccato con la sua grazia. Cristo non vuole concedere il suo perdono a chi disprezza la Chiesa. Il Cristo onnipotente può tutto da se stesso: battezzare, consacrare l’Eucarestia, conferire gli Ordini, rimettere i peccati, tutto insomma. Ma, sposo umile e fedele, non vuole fare nulla senza la sposa. Dunque, quello che Dio ha unito l’uomo non lo separi (Mt. 19,6). Questo mistero è grande: io dico riguardo a Cristo e alla Chiesa (Ef. 5, 32)…..Bada di non separare il capo dal corpo; non impedire che Cristo esista tutto intero. Perché Cristo non è mai intero senza la Chiesa, e la Chiesa non è mai intera senza Cristo. Infatti il Cristo totale, il Cristo perfetto, è capo e corpo insieme. Per questo Gesù dice: nessuno è mai salito al cielo se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’Uomo che è in cielo (Gv. 3, 13). E’ soltanto quest’uomo che può rimettere i peccati.
Primo Mazzolari parroco, predicatore, conferenziere, scrittore, giornalista e polemista. In tutto e soprattutto, sempre: sacerdote, uomo di Dio. Non ci sono schemi in cui possa essere racchiusa la sua opera, perché il suo metodo era l’amore, un amore senza misura. Nella sua vita don Primo aveva in realtà avvertito il Cristo e lo aveva fatto avvertire, oltre che nel mistero dell’Eucarestia, nella stessa presenza dei poveri: il tesoro – come egli diceva – della sua parrocchia. Aveva qualcosa del profeta che parla senza preoccuparsi dei rischi personali che la sua parola gli può far correre. Autentico scrittore sa interessare, conquistare, convincere; sa stabilire una giusta sintesi tra il passato e il nuovo, tra la cultura e la vita, rimanendo ancorato ai sicuri principi che danno il senso esatto della situazione.
Contro ogni apparenza, a disfida dei sensi che vengono meno, ecco il Cristo in un po’ di pane; in una briciola di materia creata, l’increato: l’invisibile in un attimo di visibile: l’eterno in qualche cosa che appartiene al tempo.
La nostra spiritualità ne esce illuminata e commossa, e la nostra mentalità quasi addestrata a vedere una realtà incontenibile nella cornice che ho davanti e che mi occupa i sensi: una realtà che trabocca, che veramente incomincia ad essere, almeno in quel “senso” che per me è l’unico “senso”, quando finisco di vedere, di toccare, di pesare, di ragionare. Solo allora sono “un evaso” nel significato umano della parola, l’uomo libero.
Il fatto del Cristo nell’ultima cena m’introduce, senza che me ne accorga, in quel mondo incommensurabile e incommensurato, che i piccoli uomini si sforzano di sprangare con la scusa che è il mondo dei sogni.
Forse non si è mai così desti, né così vivi, né così veri come quando si sogna. Non è certo un sogno quando, chini sulla più piccola creatura, il suo quasi niente ci si sprofonda sotto lo sguardo e qualche cosa, che ricorda la meraviglia del mondo stellare ci sorprende e ci abbaglia? La briciola diventa un mondo: la presenza che “indica” il mistero! C’è qualcosa d’Eucaristico in ogni creatura: e chi, sorretto dalla fede, scorge la presenza del pane consacrato, finisce per accorgersi che tutto è mistero e che ciò che tocco e capisco non è che l’attimo, l’apparenza, il velo di una realtà che infinitamente mi sorpassa. Quando uscirò oggi dal cenacolo, il mistero, visto e adorato nell’ostia, rifulgerà ovunque: e questo povero mondo, divenuto tragicamente troppo angusto a cagione del mio materialismo si allargherà meravigliosamente e ogni creatura prenderà le proporzioni della briciola di pane, davanti alla quale mi sono inginocchiato adorando………Il mistero di oggi e di tutti i giorni è la novità di ogni giorno; un riaffacciarsi dell’effimero sull’eterno, del mortale nell’immortale, la primavera divina sull’inverno del tempo: la presenza dello spirito che ricrea le cose, restituendole alle ingenue proporzioni del pensiero divino….. E’ piccola l’ostia e basta per un Dio. Anche una briciola gli basta. E allora la briciola vale tutto, tutto l’amore. O onnipotenza dell’Amore!
San Gregorio Magno fu successivamente prefetto della città di Roma, monaco e fondatore dei monasteri, diacono e legato a Costantinopoli, ed infine papa in un contesto storico molto fosco. Questo grande mistico, che conservò sempre in cuore la nostalgia della sua vita monastica, seppe essere un pastore ammirevole. I suoi scritti spirituali hanno profondamente influenzato la pietà medioevale.
Due discepoli facevano strada insieme e parlavano del Signore, pur non credendo in lui: ed ecco che egli apparve loro, ma sotto sembianze che non poterono riconoscere. Il Signore rese visibile ai loro occhi di carne proprio quello che si agitava nel loro intimo, davanti allo sguardo del loro cuore incredulo. I discepoli infatti erano interiormente divisi tra il dubbio e l’amore: il Signore quindi appariva. A questi uomini che parlavano di lui, egli offrì la sua presenza, ma nascose il suo vero volto, perché nell’intimo erano pervasi dal dubbio. Rivolse loro la parola e li rimproverò perché erano tardi a capire. Rivelò il senso dei misteri della sacra scrittura che lo riguardavano, ma siccome per la loro fede egli non era altro che un pellegrino, finse di dover proseguire la sua strada……Nell’agire così, la verità – che è semplice – non cadde certamente nella doppiezza, ma si manifestò agli occhi del loro corpo proprio quale era già nella loro mente. Questi discepoli, che non lo amavano ancora come Dio, dovevano essere messi alla prova, per vedere se potevano amarlo almeno come pellegrino. La Verità stessa li accompagnava nel loro cammino, e perciò non potevano essere lontani dalla carità: lo invitarono quindi a fermarsi con loro come si fa con un pellegrino. Ma perché diciamo: “Lo invitarono”, mentre l’espressione che usa la scrittura è: lo costrinsero (Lc. 24-29)? Senza dubbio questo esempio ci insegna a invitare i pellegrini a casa nostra: non solo, ma invitarli con insistenza.
I due discepoli dunque dispongono la mensa, offrono il cibo e, quel Dio che non avevano riconosciuto, mentre spiegava la Sacra Scrittura, lo riconoscono nell’atto di spezzare il pane. Non furono quindi illuminati mentre ascoltavano i precetti di Dio: lo furono invece nel compierli, perché sta scritti: non quelli che ascoltano la legge sono giusti presso Dio; quelli che osservano saranno giustificati (Rom. 2,13). Qualcuno vuole dunque comprendere gli insegnamenti che ha ascoltato? Metta immediatamente in pratica quello che ha già potuto capire. Ecco, il Signore che non è stato riconosciuto mentre parlava, si è lasciato riconoscere mentre era a mensa. Siate solleciti dunque, fratelli carissimi, nell’offrire l’ospitalità, amate le opere di carità. Paolo ci parla di essa quando dice: Perseverate nell’amore fraterno e non dimenticate l’ospitalità, perché per mezzo suo alcuni ospitarono degli angeli senza saperlo (Ebr. 13,1). E Pietro aggiunse: Praticate a vicenda l’ospitalità senza mormorare (1 Pt. ,9). Per questo lo stesso Maestro afferma: Fui pellegrino e mi accoglieste (Mt. 25,35)…….E quando verrà per giudicare, dirà: Quello che avete fatto al più piccolo fra i miei, l’avete fatto a me (Mt. 25,40)….. E nonostante questo, noi siamo così pigri a offrire l’ospitalità! Pensate, fratelli miei, alla grandezza di questa virtù. Ricevete quindi Cristo alla vostra mensa per poter essere accolti al banchetto eterno. Offrite ospitalità a Cristo come a un pellegrino e non sarete considerati nel giorno del giudizio come pellegrini sconosciuti, ma sarete accolti nel Regno come fratelli.
San Francesco di Sales diede, giovanissimo, i segni di una vocazione all’apostolato sacerdotale. Divenuto sacerdote dopo gli studi a Parigi e a Padova, è dapprima prevosto della chiesa di Ginevra e predica agli abitanti dello Chablais pe ricondurli al cattolicesimo. Nel 1602 è elevato al seggio episcopale di Ginevra. Sotto la sua direzione Santa Giovanna di Chantal fonda la Visitazione. Morì in un monastero di questo ordine, a Lione, nel 1622.
La dolcezza, l’affabilità, la carità e una deliziosa bonarietà appaiono dappertutto nella sua vita e nei suoi scritti, ma nascondono un temperamento ardente che ha saputo pacificarsi aprendosi alla grazia di Dio.
La prima parola che nostro Signore pronunziò sulla Croce fu una preghiera per quelli che lo crocifiggevano: che nostro Signore pronunziò sulla Croce fu una preghiera per quelli che lo crocifiggevano: fece quello che scrive S. Paolo: Nel tempo della sua vita terrena offriva preghiere e sacrifici (Ebr. 5,7) certo, quelli che crocifiggevano il nostro Divin Salvatore non lo conoscevano; e come avrebbero potuto conoscerlo se anche la maggior parte di quelli che assistevano alla crocifissione non capivano la sua lingua?
Si trovano infatti allora a Gerusalemme uomini di vari popoli e nazioni e tutti erano riuniti, a quanto pare, per tormentarlo. Ma neppure uno di loro lo conosceva, perché se lo avessero riconosciuto non lo avrebbero crocifisso.
Il Signore dunque, vedendo l’ignoranza e la debolezza di quelli che lo torturavano, cominciò a scusarli e a offrire per loro il suo sacrificio al Padre celeste: la preghiera infatti è un sacrificio. Sacrificio delle labbra e del cuore che presentiamo a Dio sia per noi che per il prossimo; e il Signore appunto se ne servì dicendo al Padre suo: Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno (Lc. 23,34).
Veramente grande era l’ardore di carità che infiammava il cuore del nostro dolce Salvatore! Egli, nel momento in cui soffriva tanto che la violenza dei tormenti sembrava avergli tolto la possibilità di pregare per sé, per la forze del suo amore dimenticò se stesso, ma non le sue creature. Gridò quindi, con voce forte e intellegibile: Padre mio perdonali.
Voleva farci capire così quanto ci amava, poiché non c’era sofferenza che potesse attenuare questo amore e voleva anche che imparassimo quale deve essere la disposizione del nostro cuore riguardo al prossimo.
E com’era grande, Dio mio, l’ardore di quella sua carità e la potenza della sua preghiera! Certamente le preghiere di nostro Signore erano così efficaci e meritorie che nulla poteva essergli rifiutato. Perciò fu esaudito, come dice il grande apostolo , a causa dell’amore che il Padre aveva per Lui. E’ vero che il Padre aveva una grande venerazione per questo figlio, che come Dio è uguale a lui e allo Spirito Santo, poiché ha con Lui una stessa sostanza, sapienza e potenza, una bontà e immensità senza limiti: perciò, considerandolo come il suo Verbo, il Padre non poteva rifiutargli nulla. Ora, poiché questo divino Signore si preoccupò di chiedergli perdono per gli uomini, è certo che la sua domanda fu esaudita, perché il suo divin Padre l’onorava troppo per negargli qualcosa di quel che lui chiedeva.
