Pubblicato su Un popolo in cammino – luglio 1994
L’immagine degli embrioni e dei feti in una clinica di Mosca non possono soltanto sconvolgere.
Le preoccupazioni maggiori che sono entrate nel dibattito sul filmato televisivo in quanto avviene di embrioni e di feti in una clinica di Mosca sono state sostanzialmente due e sono state di ordine diverso.
La prima, di ordine psicologico, è che la televisione che ha abituato i telespettatori a scene di orrore e di violenza, anche quando si consuma il pranzo, ha lasciato indifferente. L’altra di carattere “politico“ non si vorrebbe che da quel filmato partisse una nuova crociata contro l’aborto.
La verità non sta in queste due posizioni. L’opinione pubblica mondiale ha diritto di essere informata su quanto, di rilevante, di interesse umano avviene nel mondo. È pur vero che a forza di ripetere immagini dello stesso contenuto lo spettatore finisce con l’avere nausea e reagisce con la più grande indifferenza. Ma se è così o così fosse, qualcosa di “anormale” si è depositato nella coscienza del telespettatore. La natura umana è, purtroppo, inclinata alle abitudini buone e cattive. Ed è sempre vero il detto degli antichi latini che “assunta vilacunt”. Se di fronte a drammi, a tragedie macroscopiche umane, si opta per l’apatia, per l’indifferenza, non è certo una virtù, un fatto positivo.
L’opinione pubblica che si rassegna passivamente davanti a fatti raccapriccianti, orribili, agghiaccianti solo perché si ripetono spesso, dimostra non tanta insensibilità partecipativa, ma smarrimento dei valori, perdita di senso di comunione e di condivisione. In altre parole chiusura alla solidarietà con gli altri, ripiegamento nel proprio momento individualistico ed egoistico.
E’ un indubbio segno di decadenza morale e sociale.
Per quanto, invece, riguarda il temuto tentativo di strumentalizzazione che si possa fare di episodi tragici od agghiaccianti al fine di sostenere una tesi in opposizione alla tesi altrui, è da distinguere. Se la strumentalizzazione è puramente “funzionale“ per colpire l’altro nella sua dignità, nei suoi diritti, è certamente deplorevole ed è energicamente da riprovare. Ma se la notizia, l’informazione mette a contatto diretto con una realtà tragica ed orribile e richiama all’osservazione dei valori della verità, della giustizia, della solidarietà, non si può dire che chi ne faccia uso per difendere quei valori, faccia della strumentalizzazione. Se così fosse nessuno potrebbe denunciare il male, contestare gli errori, le ingiustizie, i crimini solo perché chi lo fa offre il fianco alla strumentalizzazione.
Principio fondamentale dell’etica sociale e, quindi, della convivenza umana, è che la verità va sempre e da chiunque proclamata, ed il male, l’errore, l’ingiustizia, i crimini, vanno denunciati sempre e da chiunque. L’umanità si vanta dei progetti, non dei pusillanimi, si vanta dei testimoni, degli apostoli, dei martiri, non degli infingardi, degli ipocriti, dei traditori.
Fatte queste doverose chiarificazioni è necessario, ora, entrare nel vivo della questione e di ciò che avviene nella clinica di Mosca. Come ha documentato ed informato il filmato televisivo, in questa struttura si commettono a ripetizione aborti e per di più senza osservare sempre le cautele mediche. E, inoltre, gli embrioni, i feti, come hanno scritto, i corpicini degli aborti vengono “lavorati“ e del materiale ricavato venduto, commercializzato per uso industriale e soprattutto cosmetico. Il ventre della donna non è più il luogo del miracolo creativo di Dio, ma la macchina per produrre “creme di bellezza“, di creazioni di utile economico. Tu che usi le creme di bellezza più raffinate non ti sei mai chiesta se ti spalmi il volto di delicati corpicini di bambini uccisi per rendere il tuo volto più accettabile ed attraente?
Non è la prima volta che l’opinione pubblica è informata di questo procedimento che si attiva a livello non tanto clandestino ma anche pubblico. Una delle conseguenze dell’aborto è proprio questa: che fare degli embrioni, dei feti, dei corpicini degli esseri umani abortiti od uccisi mediante aborto? Mai nessuno, per quanto si sappia, ha condotto un’inchiesta in proposito. Ogni tanto si legge che donne di maternità indesiderata si sono disfatte del figlio gettandone il corpicino nel bagno o nel cassonetto o in un sacchetto per rifiuti.
Una domanda drammatica e doverosa
È lecito sempre domandarsi: degli embrioni, dei feti, dei corpicini di bambini abortiti che cosa si fa? Dove vengono collocati? A quale usi vengono destinati? Non è una domanda impertinente, è drammaticamente doverosa.
Gli uomini e le donne di tutto il mondo sanno che quando muore un bambino, un adulto, il corpo viene onorato di degna sepoltura, e, in alcune aree culturali, cremato. Ma, ed è ora di ribadirlo con fermezza, non solo i parenti, gli amici, ma quanti vogliono, sanno che il corpo verrà tumulato e venerato dai superstiti. Questa legge universale inscritta nella coscienza e nel costume dei popoli, non viene osservata per gli embrioni, i feti, i corpicini dei bambini uccisi nel grembo materno o abortiti spontaneamente. Perché?.
Il diverso e contraddittorio atteggiamento ha una duplice spiegazioni. La prima è che la cultura razionalistica si arroga l’arbitrio di decidere non solo su chi deve vivere e su chi deve morire e sul modo di morire, ma anche quale corpo deve avere onorata sepoltura e quale, invece, deve essere disfatto, distrutto, usato a fini commerciali ed industriali. La seconda: la cultura razionalistica si ostina a ritenere l’embrione, il feto non un essere umano, ma un “oggetto”, una “cosa” di cui ci si può disfare come si vuole sia se vitale sia se privo di vita.
“Un microscopico e essere umano in precocissimo stadio di sviluppo“
Entrambe le interpretazioni, sono evidentemente false. Nessuno, oggi, alla luce dei dati scientifici, potrà dubitare che l’essere umano, posto dalla fecondazione sia naturale che artificiale, sia un essere umano di pari dignità di tutti gli altri esseri umani. E’ solo il giudizio di uno dei pionieri della fecondazione in vitro, ripreso dai Vescovi australiani in uno dei loro documenti: “il dottor Robert Edwards descrive l’embrione come magnificamente organizzato, capace di mettere in azione il suo stesso sistema biologico. Edwards rende ciò ancora meglio con una frase pregnante: “anche nello stadio di pre-impianto l’embrione è un microscopico essere umano in un precocissimo stadio di sviluppo“.
La conclusione dei vescovi australiani è, allora, perentoria: “l’embrione è un essere umano. L’uovo no. Un gamete no. Ma una volta che il prodigio, l’irreversibile prodigio del concepimento si è compiuto, la nuova vita concepita è un individuo umano distinto; è un organismo di origine umana che contiene dentro di sé tutto quanto serve per organizzare il proprio sviluppo, la propria crescita, moltiplicazione e differenziazione, purché gli siano forniti il nutrimento e l’ambiente idoneo“.
Già Tertulliano, contestando la pratica abortista dei suoi tempi, affermava: “è già essere umano quello che sarà“. Se l’embrione, il feto, è un essere umano, è dotato della stessa dignità e degli stessi diritti di ogni essere umano e di tutti gli esseri umani. Tra questi diritti primeggia quello della vita che è radicale e virtuale di tutti gli altri. Provocare l’aborto, uccidere l’embrione, sopprimere il feto, è uccidere un essere umano in via di sviluppo, in crescita. È, in sostanza, un delitto, un omicidio.
L’essere umano ha diritti sia quando vive sia quando non vive più. In quanto vive gli devono essere garantiti tutti i diritti e tutti mezzi disponibili. Tra i diritti che l’essere umano vanta dopo morto, non vi sono soltanto quelli che riguardano la tutela delle sue volontà testamentarie e della sua memoria; vi è pure il diritto al rispetto del corpo senza vita, del cadavere cui deve essere assicurata onorevole sepoltura. Vanta tale diritto anche l’essere umano caduto in guerra, il traditore, il criminale che sia rimasto ucciso in un conflitto a fuoco con le forze dell’ordine. E la società dà attenzione a tale diritto. Si fa eccezione ed è l’unica: non si dà, non si vuole dare sepoltura al “cadavere“, al corpicino senza vita del bambino abortito.
La Chiesa, facendosi interprete dell’esigenza della dignità degli esseri umani uccisi mediante aborto, prescrive: “I cadaveri di embrioni e feti umani, volontariamente abortiti o non, devono essere rispettati come le spoglie degli esseri umani”.
Con la dottrina della chiesa concordano teologie, filosofie e giustizia. A conferma merita di essere riferita una proposta fatta dal consiglio d’Europa già negli anni 80. In quegli anni l’opinione pubblica mondiale fu scossa da un fatto raccapricciante. In un incidente nel nord della Francia un camion si rovesciò. Quello che inizialmente sembrava essere materiale di maiali, all’esame si rivelò che erano embrioni umani morti, provenienti da una clinica comunitaria abortista e destinati ad un’industria di cosmetici ??? Deputato danese al consiglio d’Europa, Björn Elmquinsk, formulò la proposta secondo cui “gli embrioni morti“ dovessero essere considerati come “materiale umano“ vale a dire che essi “dovrebbero essere, per quanto possibile, trattati nello stesso modo nel quale si trattano i corpi morti, i cadaveri“ (cfr. 3/84,9).
Anche per gli embrioni non vitali valgono le risoluzioni e le indicazioni degli organismi internazionali sui corpi senza vita, in particolare le dichiarazioni di Helsinki e di Tokyo. È, comunque, da escludere che possono essere destinati ad uso industriale, e che possono essere considerati “materiale“ comunque, su cui la società, lo Stato, o gruppi possono far valere la pretesa di appropriazione e di utilizzazione. Sebbene uno dei più gravi atti di degradazione che si possa compiere.
Eppure in questa nostra società emancipata, moderna, illusionista della scienza, in questa società nella quale ci si crede intellettualmente e come istruzione superiori alle epoche precedenti, abbiamo superato la barriera dei nazisti che, almeno, cremavano coloro che avevano destinati alla morte. Voglia Dio che non chiudiamo gli occhi giustificandoci dicendo che “ormai la società è così e che cosa possiamo fare?“. Sarebbe indice della barbarie del nostro cuore che non si lascia intenerire neppure di fronte a vittime innocenti dell’egoismo umano.
Don Angelo
