
Pubblicato su Un popolo in cammino – gennaio 1995
Il “modo che gli era offerto” (come risulta da tante altre formule) era di adempiere il Ministero sacerdotale, nel celebrare l’Eucaristia e nel confermare, nella maniera più perfetta possibile.
Durante la Santa Messa, dunque, egli sentiva e soffriva fisicamente il problema dell’unità, immedesimandosi a Cristo, con una indescrivibile passione e (spesso piangendo fino a bagnare le tovaglie dell’altare).
“Vedi – disse un giorno ad un penitente – questa mattina ho celebrata la S. Messa per il mio popolo e poi, pensando alla grandezza della Vittoria Divina offerta all’Eterno Padre, ho detto: – ora ricusate di esaudirmi, se potete, Paron Benedetto! “.
E piangeva dalla commozione. Nelle confessioni trattava ogni penitente come se la conversione della sua gente dipendesse tutta dalla conversione di quel singolo peccatore che gli stava davanti. Meglio: non “come se”, ma nella fede che la Grazia di Dio, versata su un singolo peccatore, raggiungeva anche il suo popolo per il mistero della Comunione dei Santi. Era certo che l’unità si sarebbe realizzata. Scriveva: “infallibilmente avverrà il grande fatto dell’Unione!”.
Soffermiamoci un istante su questa vocazione ecumenica che gli bruciava il cuore in un’epoca in cui di tale argomento, quasi, non si parlava, e riflettiamoci ora che, cadute le ideologie totalitarie, proprio in quella sua terra divampano ancora i nazionalismi più esasperati ed i conflitti religiosi.
Serbi e croati si accusano reciprocamente di genicidio. I primi, ortodossi, devono ancora vendicarsi dei fatti accaduti nel 1941. I secondi, cattolici, sono decimati in questi giorni. La diversa confessione religiosa fa da cassa di risonanza all’odio nazionalista.
Padre Leopoldo era cattolico croato, ma sulla sua bocca l’espressione “mio popolo” indicò sempre ed indistintamente tutte le genti slave ed il suo pensiero andava soprattutto ai non cattolici. Per essi diceva: “mi offro vittima per i miei fratelli”.
L’unione che lui desiderava l’aveva già fatta nel suo cuore. Così, trattato ogni peccatore come il “suo Oriente “, divenne un confessore straordinario.
La sua missione cominciava da quando il penitente entrava nella sua disadorna celletta.
Si accorgeva di una qualche esitazione, di un qualche impaccio o disagio, si alzava in fretta e gli andava incontro allargando le braccia: “Si accomodi, signore, si accomodi … non abbia paura, sa, non abbia riguardo. Vede, anch’io, benché frate e sacerdote, sono tanto misero. Se il Padrone, Dio, non mi tenesse per le briglie, farei peggio degli altri… “.
Poi accadeva l’incontro con la Misericordia di Dio, dolce, esigente, penetrante come una spada a due tagli. Ascoltiamo il racconto di un episodio tra i tanti che allora accadevano sotto gli occhi di molti testimoni.
“Un giorno io ero con parecchi altri in quel piccolo corridoio d’attesa davanti al confessionale di padre Leopoldo. Ad un tratto entrò spavaldo un contadino di forme atletiche. -Sono 40 anni che non mi confesso!-disse forte-e ora devo confessarmi sennò la padrona mi toglie l’affitto dei campi. Fatemi il piacere di lasciarmi entrare subito perché non ho tempo da perdere con queste storie! Lo lasciamo passare per primo-dopo quasi mezz’ora uscì completamente cambiato e si allontanò piangendo come un bambino “.
In mille modi, in quella piccola cella, si ripeteva la storia del figliol prodigo. Un giorno un marito che maltrattava la moglie si sentì dire: “lei è un delinquente!” Ma in modo tale che il violento ne rimase sconvolto e finì per ammetterlo.
Padre Leopoldo non era dolce al modo che noi possiamo immaginare. Durante i suoi funerali un uomo raccontò a tutti la storia della sua conversione.
Era entrato in quella celletta senza vera conversione e si era ostinato a difendere i suoi tanti peccati con sottili ragionamenti. Padre Leopoldo le aveva provate tutte, poi, davanti alla sottile derisione dell’uomo, si era levato in piedi, piccolo ma terribile, ed aveva esclamato: “Se ne vada! Se ne vada! Lei si mette dalla parte dei maledetti da Dio! “.
Quel poveretto era quasi svenuto dalla paura e si era prostrato a terra piangendo; allora il padre lo aveva sollevato ed abbracciato: “Vedi-gli aveva detto-ora sei di nuovo mio fratello!”.
Un insuccesso, al cui ricordo padre Leopoldo piangeva, gli capitò con un nobile trevigiano. I parenti avevano mandato una macchina a prenderlo, ma poi, giunto il padre al palazzo, pretendevano che benedicesse il morente da dietro la porta, furtivamente.
“Non facciamo commedie-egli disse-. Con Dio non scherza. Voi siete responsabili di quella povera anima.
Non era dolce quando voleva scusare il male o minimizzarlo, ma lo diventava infinitamente quando lo si riconosceva con umiltà.
La Misericordia di Dio-diceva-è superiore ad ogni aspettativa. Se una cosa mi dispiace è di aver negato, qualche rarissima volta, la soluzione”.
Franceschini, Rettore dell’Università Cattolica, testimoniò al processo di beatificazione:
“Mentre una volta mi accostavo alla confessione, prima di iniziarla, notando in padre Leopoldo un turbamento, senza che gliene chiedessi la ragione, mi disse: dicono che sono troppo buono: ma se qualcuno viene ad inginocchiarsi davanti a me, non è questa una prova sufficiente che vuole avere il perdono di Dio?”.
Diceva altre volte: “Vedi, ci ha dato l’esempio lui! Non siamo stati noi a morire per le anime. Al Confessionale restava attaccato ore ed ore come un’ostrica allo scoglio. “padre-gli chiedeva qualche penitente-come fa a confessare per tanto tempo? “.”Vede-risponde- è la mia vita”.
Non conoscevo il suo giuramento, ma si accorgevano di quella assoluta diligenza, momento per momento, che gli aveva promesso con voto. Se lo richiamavano, un istante dopo che era appena uscito, giungeva immediatamente: “eccomi, Signore, eccomi!” come se si dovesse scusare; e non si riusciva mai a scorgere il minimo gesto di disappunto. Così, in una sola frase, egli univa insieme, indissolubilmente, la carità verso il penitente sopraggiunto e la risposta a Dio che lo aveva chiamato da tutta l’eternità.
Nell’ultima notte della sua vita, un religioso andò a bussare a tarda sera alla porta della sua cella per confessarsi, ed egli, ormai stremato dalla malattia, un tumore all’esofago, lo invitò ad entrare con la formula-preghiera di sempre: “Eccomi, eccomi!”.
