Omelia funebre di Mons. Luigi Stucchi

Per il nostro carissimo don Angelo il percorso di vita si è compiuto, ma la vita non è finita, perché la nostra fede, “vittoria che vince il mondo”, genera una vita nuova più forte della morte. Anche l’attesa, con tutte le inquietudini e le domande che porta con sé dal profondo del cuore, si è compiuta, perché la nostra fede irradia una luce che supera ogni dubbio, che rischiara ogni passo, che valorizza e conferma ogni prova, perché plasma il cuore e modella la storia e le vicende umane affinché ad immagine e somiglianza di Cristo si realizzi ogni umana creatura. Anche il grido del cuore, soprattutto nell’enigma della morte e prima ancora nell’enigma della sofferenza, trova risposta e speranza, perché prima di essere espresso fino in fondo e diventare eco di sé, è intercettato e interpretato da una risposta offerta come dono e sperimentata come grazia nello Spirito di Colui che nel Figlio, Crocifisso e Risorto, si svela e si dona come Padre. Alla fine e prima ancora comprendi che egli non sta solo di fronte a te, ma inabita dentro di te, ti possiede per amore fino a consumarti e trasformarti nello stesso amore con cui ti fa esistere nel tempo e per sempre. Certamente questa esperienza è accaduta nel cuore di don Angelo, certamente questo ci ha testimoniato e donato, questo spiega, nella durezza della prova, la gioia del dono e dell’offerta di sé al Signore per la sua Chiesa. Si esprimeva infatti così quando non riusciva ad alzarsi, quando non poteva celebrare, quando non poteva guidare la sua parrocchia con la presenza fisica e con la decisiva parola della sua responsabilità di parroco: “Mi sento ancor di più sacerdote, mi sento ancor di più parroco, perché offro tutto per coloro che il Signore mi ha affidato e la gente mi apre il suo cuore e mi affida la sua vita”. 42 La sua Messa e il suo ministero si sono concentrati nella sua offerta in sacrificio di lode. Dono e sofferenza, sofferenza e preghiera, preghiera ed intercessione, sono diventate componenti e atteggiamenti di un unico atto di fiducia e di consegna all’amore del Signore Gesù. Su questo amore semplificava e unificava tutta la sua esistenza. Ne era così profondamente convinto che sorriso e gratitudine riaffioravano sempre come il segno fragile e intenso della sua unione con Gesù per la Chiesa. I frutti di un’opera educativa costruita su una essenziale trama di rapporti e dentro alcune essenziali e semplici consapevolezze e convinzioni si ritrovano anche in esperienze di vita contemplativa e di dedizione per la stessa missione della Chiesa. C’è un passaggio della preghiera eucaristica in cui la Chiesa, cosciente di ciò che celebra e del fine per cui celebra, chiede che coloro che vi partecipano “diventino offerta viva in Cristo a lode della sua gloria”, – la gloria è quella del Padre – e un altro passaggio in cui chiede al Padre di guardare la “vittima che tu stesso hai preparato”: la vittima è Cristo e tutti coloro che partecipano della sua Pasqua. È detto per i fedeli, è detto per i sacerdoti che presiedono la celebrazione eucaristica. Potrà mai un sacerdote fedele sottrarsi a questa chiamata, negarsi a questo dono, opporsi a questa trasformazione ed offerta? Don Angelo non si è sottratto e per questo rendiamo grazie. Il grido è diventato l’alleluia senza fine, l’esperienza religiosa svela in Cristo Risorto il suo culmine e il senso pieno della nostra fragile ed ineffabile esistenza umana.

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