
LE TENTAZIONI DI GESU’
Si tratta di una pagina grande del Vangelo. Dopo trenta anni di vita nascosta ed operosa in Nazareth, Gesù si accinge ad iniziare la sua predicazione; ma prima si reca nel sud della Giudea, al Giordano, dove vuole ricevere il Battesimo di penitenza dal Precursore, Giovanni Battista. Poi sale sui monti circostanti, che costituiscono un paesaggio privo di vegetazione, orrido, senza vita ed in una solitudine non certo riposante, ma di pauroso silenzio. Gesù digiuna per quaranta giorni e quaranta notti ed ecco apparire un personaggio spirituale ma tremendo e cattivo: è il demonio; osa tentare il Salvatore. Non stiamo a soffermarci sulle singole tre proposte fatte dal maligno. Basterà soffermarci al semplice quadro che ci raffigura l’urto tra lo spirito del male ed il Figlio di Dio fatto uomo. Il Vangelo ci presenta appunto questo dramma, questo duello tra Gesù e satana. Gesù è tentato. Anche lui vuole conoscere il combattimento tra l’anima che vuole restare fedele a Dio e l’invasore che lo raggira per distoglierlo ed indurlo al male. Qui va ricordato che quanto si riferisce a Gesù tocca anche a noi. La vita di Gesù si configura alla nostra: quello che avviene il Lui si riflette in noi. E’ stato tentato Gesù? Tanto più possiamo e dobbiamo essere tentati noi. Appare logica, anzi, la domanda, poiché noi viviamo in un mondo tutto insidiato e turbato da questa inimicizia nascosta di coloro che San Paolo chiama “i dominatori di questo mondo tenebroso” (Ef. 6,12). Siamo come circondati da qualcosa di funesto, cattivo, perverso, che eccita le nostre passioni, approfitta delle nostre debolezze, si insinua nelle nostre abitudini, viene dietro ai nostri passi e ci suggerisce il male. La tentazione è, dunque, l’incontro tra la buona coscienza e l’attrattiva del male; e nella forma più insidiosa di tutte. Il male, infatti, non si presenta con il suo reale volto che è nemico, orribile e spaventoso. Accade proprio il contrario. La tentazione è la simulazione del bene; è la confusione tra il bene ed il male. Questo equivoco che può essere continuamente davanti a noi, tende a farci ritenere il bene là dove, al contrario, è il male. E qui passiamo dalla scena evangelica alla nostra vita ed esperienza, nel mondo in cui ci troviamo. E’ di tutti i momenti e di ogni specie questa confusione. E’ propria, si direbbe, dell’uomo moderno, il quale ha perso il giusto criterio del bene e del male. Ha perso il senso del peccato, come spiegano i maestri di vita spirituale. L’uomo moderno si adatta ad ogni cosa; è capace di farsi l’avvocato delle cose cattive pur di sostenere la libertà del proprio starsi, senza alcuna preclusione nei confronti del male; una libertà indiscriminata per ciò che è illecito. Si finisce, così, per autorizzare tutte le espressioni della vita interiore: l’istinto prende il sopravvento sulla ragione, l’interesse sul dovere, il vantaggio personale sul benessere comune. L’egoismo diventa perciò sovrano nella vita individuale ed in quella sociale. Perché? Perché si è dimenticato ciò che è bene e ciò che è male. Non si conosce più la norma assoluta per tale distinzione, vale a dire la legge di Dio. Chi non tiene più presente la legge del Signore, dei Suoi comandamenti e precetti e non li sente più riflessi nella propria coscienza vive in una grande confusione e diventa nemico di se stesso. E’ innegabile, infatti, che tanti malanni nostri sono procurati dalle nostre stesse mani, dalla sciocca cattiveria ostinata nel ricercare non quello che giova, ma quello che è nocivo all’esistenza. Bisogna, dunque, rinnovare, rinvigorire la nostra capacità di discernere il bene dal male. In conseguenza, quando il male, tutto quanto, cioè, è proibito, è contrario alla legge di Dio, al buon costume ed al giudizio sano della ragione, si presenta attraente, lusinghiero, seducente, utile, facile, piacevole, noi dobbiamo dimostrare tanta energia e sapienza, da dire decisamente e risolutamente: no. Questo è il modo per respingere e superare la tentazione. Può un cristiano vero essere debole, pauroso, vile, traditore del proprio nome, della propria coscienza, del proprio dovere? Certamente no. L’autentico cristiano è forte, coraggioso, leale, coerente, eroico, se occorre. Il Cristiano, lo sappiamo dalla Cresima, è soldato di Cristo. La vita cristiana è combattimento: noi dobbiamo stare allerta continuamente, dobbiamo essere sempre in grado di distinguere il bene dal male e di decidere: io sto per le promesse fatte. Cercherò, perciò, di essere veramente pronto a superare ogni attrattiva che potrebbe ridurmi debole e vile davanti alla presentazione del male camuffato da bene. La grande lezione di vita cristiana di questa pagina del Vangelo esige da noi due espliciti e grandi impegni. Dobbiamo anzitutto essere saggi, disposti al giudizio buono, cioè pronti nel riflettere, nel tenere la lampada della nostra coscienza e del nostro pensiero sempre accesa davanti a noi. Non dobbiamo camminare nell’oscurità. Portando alto quello splendore che Dio ha posto nelle nostre mani e che si chiama la nostra coscienza, cerchiamo di non deformare mai la sua rettitudine di giudizio. Siamo semplici e lineari. “Sì, sì; no,no.” (Mt. 5,37).
Bisogna essere davvero consapevoli di questa necessaria limpidezza di giudizio e di condotta.
Il secondo impegno è quello di essere forti. Quanto è consolante che il Santo Ministero mi autorizzi, anzi, mi comandi di dire a quelli che considero figli e fratelli: dobbiamo essere forti! Se la mia predicazione dovesse dire: è preferibile essere furbi, deboli, possibilisti, accomodanti, inclini al compromesso e mascherare la nostra viltà con dei complimenti, con ipocrisie, come sarebbe brutta la mia parola, come tradirebbe la dignità umana cercando di sminuire la bellezza della grandezza cristiana! Ma, al contrario, la mia voce, anche se la debolezza non conforta quanto dovrebbe, questa testimonianza al Vangelo del Signore, dice: se vogliamo essere Cristiani, oggi specialmente, dobbiamo essere forti. Giovani, voi in modo particolare dovete raccogliere questa chiara voce, questo messaggio del Vangelo: bisogna vivere il cristianesimo con fortezza; è necessario sostenere anche qualche sacrificio per custodire intatta la propria fede e per mantenere l’impegno assunto con Cristo, con la Comunità Cristiana, con la Chiesa. E il Signore, grazie all’insegnamento di questo dramma delle Sue tentazioni, indica una luminosa conclusione: la tentazione, la malvagità permanente che insidia i nostri passi e la nostra incolumità, si può vincere con che cosa? Seguendo la Parola di Dio, con la Sua Grazia la quale non manca mai a chi la desidera e a chi la cerca. Allora non possiamo avere paura delle tentazioni. Sono una occasione offertaci da Dio come a Gesù, per affermare la Sua signoria, per affermare che preferiamo scegliere il suo Amore piuttosto che l’affermazione dell’amore a noi stessi. Come l’albero posto nel Paradiso terrestre, è un richiamo a riconoscere la Sua Bontà, la Sua Provvidenza, la Sua Delicatezza, la Sua Attenzione alla nostra chiamata a riconoscerci Suoi figli. Perciò CORAGGIO!
Affrontiamo la Quaresima non come semplice mortificazione, ma come la gioiosa riscoperta di essere amati in Cristo Gesù come Suoi figli amati.
Don Angelo