Meditazione tenuta alla giornata di ritiro a Gazzada – Villa Cagnola

Domenica 23 settembre 1990

Il Cristianesimo, dice Giovanni Paolo II al n°10 dell’Enciclica “Redemptor hominis”, è lo stupore della vita che cambia, è lo stupore del mangiare, del bere, del vegliare del dormire, del lavorare, insomma, in una parola, della vita che è fatta di tutti i rapporti, di tutti i problemi, di tutte le circostanze che la riempiono; che è fatta della grandezza per cui davanti ad una giornata piena di gioia e di sorprese ti senti dilatare il cuore e l’intelligenza e un’ora dopo ti senti lì, preda dell’egoismo che ti fa reagire male perché un amico ti ha guardato storto.

Lo stupore della vita è più profondo, più radicale di tutto questo; io porto “il significato della vita”, cioè porto il valore, il senso per cui tutte le cose della vita esistono.

 

Quando uno ci pensa, a patto che non sia travolto dalla musica, dai soldi, dal sesso, da tutto ciò che la televisione dalla mattina alla sera ci butta addosso per non farci pensare, non può non sentire dentro di se questo grido verso l’Essere, e dentro al silenzio la risposta di questo essere, perché questo Essere che ci ha fatti non è capriccioso, come, invece, siamo noi nei confronti di quello che abbiamo intorno. L’Essere che ci fa, che ci ha dato la vita è un Essere guardando il quale Gesù ha potuto dire: “Padre mio” e poi, rivoltosi ai suoi come a noi , ha potuto dire: “Quando pregate dite: Padre nostro che sei nei cieli”.

 

Ciò da cui vogliamo partire questa mattina è l’incontenibile stupore dinnanzi alla nostra persona che cambia perché si trova dinnanzi a Uno che non pensavamo ma che veramente comincia a mettere radici in noi se lo scegliamo.

Ciò che vorremmo fare come passo quest’anno è che questo Uno diventi determinante.

 

   Determinante significa che guida l’intelligenza ed il cuore, altrimenti non conta nulla, perché quando si vuole bene ad una persona si cerca di fare quello che vuole, a volte anche sino a fare le cose che non vanno fatte! Vuol dire che se una persona è significativa determina la vita.

Preferire questo Uno mette in moto tutta la mia vita, ogni giorno, nel quotidiano verso la sua maturità.

 

Come facciamo a sopportare giorno dopo giorno che ci sia gente che non ha mai sentito parlare di ciò che può cambiare la vita?

E’ vergogna insopportabile vedere nel nostro paese gruppi di ragazzi, alla fine del pomeriggio, radunarsi attorno alla chiesa vecchia, ai bar, a parlare di niente; e noi che portiamo il significato della vita tiriamo diritto, come se loro non esistessero, e ci chiudiamo nelle nostre compagnie, nelle nostre case, e tutto il problema è se stiamo bene o male insieme; e fuori questa umanità flagellata dal non-senso, che è la peste più grande che esista, di fronte alla quale l’Aids è soltanto un segno.



Avere preferito Cristo e la Sua Chiesa, incontrati attraverso il Battesimo, portare nel cuore questa preferenza, giorno dopo giorno, farà cambiare la nostra vita.

Perché sarà con questo atteggiamento di cuore che Cristo entrerà nella nostra vita con la Sua pretesa, con la Sua promessa, non per quello che sentiamo o siamo in grado di comprendere.

Come Pietro quando, pur non comprendendo le Sue parole: “Mangiate la mia Carne, bevete il mio Sangue”, unico fra gli altri ha detto: “Non ti lascio ugualmente, anche se non ti capisco, perché quello che tu sei è più grande di te”.

 

Quello che noi siamo, quello che la nostra compagnia è, è più grande di quello che ciascuno di noi comprende.

Preferire la Comunità, preferire questa casa dove il Signore ci è venuto incontro, vuol dire stare uniti come Pietro è stato unito a quel gruppo di uomini attorno a Cristo anche quando non capiva. 

Preferire la Comunità non per quello che ci sembra di ricavare come soddisfazione immediata, ma per quel qualcosa di più che è dentro in questa compagnia.

 

Aderire alla compagnia, preferirla per quel qualcosa di più che è tra noi. 

Un qualcosa che si rivela lentamente, ma si rivela man mano che uno ci sta, man mano che si appartiene alla Comunità, man mano che si da più credito alla Comunità così come è, così come si presenta.

 

Aderire alla compagnia mettendo da parte i nostri giudizi e i nostri pregiudizi, accoglierla quando ci dice: “Prova a fare così”, “Prova a seguire questo giudizio”. Quando ci dice che quello che sta succedendo nella chiesa ha un certo significato e non un altro, quando ci dice che il modo più intelligente, umano, di passare il tempo non è buttarlo via, ma ad esempio vivere dei piccoli o grandi gesti di carità, di gratuità.

 

Quello che il mondo si aspetta da noi è che cominciamo a dire “si” alla compagnia, a questa compagnia che siamo noi per quel mistero che la compagnia ha dentro. Preferire la comunità ai nostri sentimenti, ai nostri risentimenti è il compito di ogni giorno, è il modo in cui siamo chiamati a vivere. Il Papa ha detto che si tratta  di realizzare nel mondo nuovi modi di essere, di vivere, di pensare. Preferire la comunità perché avvenga questo, non preferirla solo “finchè capisco”, perché vorrebbe dire ancore che preferisco me stesso.

 

La compagnia non è quello che sentiamo o comprendiamo , non è un amore condizionato alla preferenza. Aderire alla comunità con questo atteggiamento interiore ci fa pulsare dentro un cuore diverso è la cosa che desideriamo: solo così si incomincia ad esistere.

 

E quello che la comunità ci propone è sempre più in la  di ciò che pensiamo. Perciò c’è sempre un “rompersi dentro” ….. è inevitabile!

 

Questo è ciò che rende concreto credere in Cristo. Non può esistere un modo concreto di credere all’avvenimento di Cristo che muore e risorge senza questo credito reale alla compagnia, senza il coinvolgimento con la Chiesa.

 

Oggi si è dimenticata questa concretezza!

 

Credo in Cristo, ma nella Chiesa? Allora tutto diventa nebuloso, resto nella mia solitudine, Cristo non mi parla più.

 

Vivere Cristo non è il buon sentimento che mi guida alla domenica, non è il tentativo di rispondere ai bisogni del mondo facendo quel po’ di bene di cui sono capaci anche quelli che non hanno fede e per cui basta avere un minimo di onestà.

Cristo vissuto in questo modo certamente non determina la vita e della Sua presenza o assenza il mondo non si accorge.

 

Questo è il cristiano: uno che preferisce il Signore a tutto il resto. Ciò vuol dire preferire la nostra “compagnia”.

 

Per questo è un cammino, per questo Cristo si è definito “VIA”, come via e compagnia, non è un traguardo, ma una via verso il traguardo, perché il traguardo è il mio e il tuo cambiamento: un cuore che si riscopre sempre più capace di amore, di accoglienza, di gratuità.

 

Ma c’è una cosa importante: noi viviamo attaccati alla “compagnia” per il mistero che questa ha dentro e la amiamo più di noi stessi e più di tutto quanto ci possa accadere e ci troviamo dentro un’intelligenza umana nuova, un cuore nuovo per cui la nostra “compagnia” non è una parte della nostra vita, ma il motivo per cui viviamo tutta la nostra vita, per cui desideriamo capire sempre più ciò che ci è capitato e amare sempre più quelli che incontriamo.

 

“VIVO NON IO, MA E’ CRISTO CHE VIVE IN ME”, dice S. Paolo:, ma questo vale anche per i poveri cristiani che siamo noi.

 

E questo mi getta nell’esistenza che è il luogo della preferenza.

Infatti che preferenza è se mi tiro fuori dai rapporti, dal luogo di lavoro, dall’amicizia, dalla vita e poi mezz’ora alla settimana dico: “Io ti preferisco”? Non c’è preferenza se non c’è paragone, se non c’è un dire: “Invece di questo preferisco te”. Allora la preferenza per Cristo la devo vivere nel mondo, e la comunità mi fa vivere, mi fa crescere e mi insegna a vivere il mistero di Cristo nel mondo, dove vivono tutti, me lo fa vivere nella materialità dell’esistenza.

 

Come faranno a trovarlo gli altri (dice ancora il Papa) se nei vostri campi della cultura, del lavoro,dello svago, voi non lo testimoniate?

 

Ecco, io affronto il lavoro ….  tutto perché voglio capire Cristo e quindi non mi accontento di ciò che mi viene propinato e chiedo ai miei amici di aiutarmi (rapporti sociali), di indicarmi degli strumenti che mi aiutino.

 

Io incontro la gente lungo le strade e vorrei che intravedessero, attraverso me e voi, Cristo che sta cambiando la nostra vita.

 

E come posso incontrare Cristo? Nel modo in cui ci diciamo “ciao”, nel modo in cui ci interessiamo delle difficoltà che chi incontriamo trova nella vita, nel modo in cui invitiamo a fare una gita ….

 

La missione è giocare la preferenza nella vita come criterio  per impostare la vita stessa, come criterio per amare gli uomini, Io amo il mondo, mi apro agli uomini, ai problemi, alle cose, e in questo aprirmi prima preferisco il Signore. La preferenza sta nell’azione, perché l’uomo vive di azioni, di situazioni, di problemi e di contraddizioni. Occorre capire che Cristo è il criterio di giudizio sulla realtà, per cui tutto deve essere riferito a Lui.

 

E se vi sedete vicino ai fratelli in treno, in fabbrica e ovunque con questa profonda intenzione, giocando in questi rapporti l’amore a Cristo, create una società diversa.

La vita è un uomo che ama e vuole capire, la missione è la tua vita.

Lavoro, tempo libero, gite, compagnie, canto, dolore, gioia, grandezza, povertà: è la tua vita che grida nel mondo se è vissuta nella preferenza e non nella reazione.

Infatti gli “altri” invece che la preferenza a Cristo hanno come criterio la reazione.

Chi ama Cristo ama in Cristo tutti gli uomini e lo dimostra, perché tutta la vita umana grida il Suo miracolo.

La nostra vita deve avere come criterio non il proprio “io” ma questo stare con Lui, questo preferirlo. Quando torni a casa e guardi tua moglie, tuo marito, i tuoi figli, tuo padre o tua madre, desideri che anch’essi capiscano questa tua preferenza ed allora diventi più benevolo verso di loro, verso il mondo intero che è pieno di cattiveria e di odio, di gente che si schiaccia, per cui il primo segno di affezione a Cristo è la benevolenza.

 

Il soggetto di questa azione, di questa “vita nuova” da creare nel mondo sei tu, non la compagnia, tu in quanto vivi la compagnia, tu in quanto preferisci Cristo nella compagnia, tu che vivi il tuo lavoro, che sei con i tuoi amici, tu di fronte ai bisogni della gente che ti attornia. Sei tu dentro la fitta trama di incontri sempre nuovi o dentro il quotidiano che sembra sempre uguale. 

 

C’è bisogno che ognuno di noi rischi e preferisca ogni giorno il Signore. Questa è l’impresa, questa è l’opera della vita, questa è la “vita eterna”, cioè la vita piena di significato, “che conoscano te vero Dio e colui che mi ha mandato, Gesù Cristo”; ma lo conosciamo nel mangiare, nel bere, nel lavorare, nel tempo libero, cioè dentro la vita, dentro alla vita che cambia.

 

Questo è un grande appello alla libertà: la preferenza che mobilita la vita, che la rende viva di fronte a tutto perché niente succede a caso: non diciamo più le parole “fatalità”, “non ci posso fare niente”,  “impossibile”; o le espressioni “ormai è finita”,  “tanto è inutile” …..

Bandiamo dalla nostra vita la rassegnazione ……

 

L’uomo che vive la preferenza verso Cristo dentro tutte le circostanze vive una fede seria, perché la fede è una passione con cui un uomo, prima delle cose stesse, è Cristo.

E’ questo nuovo modo di essere, di pensare e di agire che costituisce un’umanità nuova.

 

E’ la persona che appoggiata alla comunità la crea continuamente con tutti quelli che incontra, perché i rapporti si creano nel nome del Signore creano la Chiesa nel mondo.

 

La gratuità che passa nella compagnia tra noi ed altri che fanno fatica ad educare, a portare i pesi della vita, costituisce dentro al cuore del mondo un altro mondo; il modo diverso di lavorare, di usare dei nostri soldi  non soltanto come una cosa nostra, ma come responsabilità verso l’umanità da cui siamo circondati, crea un modo nuovo, crea la presenza della Chiesa, crea la possibilità di incontrare Cristo.

 

Bisogna rischiare nella vita perché il rischio irrobustisce, allo stesso modo in cui siamo invitati a camminare aiutati dalla mamma, dalla comunità, dalla Chiesa, rischiamo poi da soli, avendo poi via via  sempre meno paura.

Così è la missione!

Quanto più rischiamo, tanto meno il mondo ci fa paura.

 

Fare missione è prendere sul serio ogni incontro.

 

Ma ci vuole tempo! Bisogna lavorare umilmente, giorno dopo giorno.

Ci vuole sacrificio di sé che vuol dire non abbattersi e non esaltarsi troppo, perché risponde chi vuole, chi può, risponde la libertà di ciascuno.

Come noi mettiamo in gioco la nostra libertà, il mondo è chiamato a mettere in gioco la propria: le cose non crescono secondo la nostra programmazione a tavolino, ma secondo i tempi di Dio e della libertà di ciascuno. E questo vale anche per noi!

 

“E io sono certo (diceva S. Paolo) che Colui che ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento”.

 

Bisogna lavorare, cioè ricominciare ogni volta, dopo ogni errore, con l’umiltà di riconoscere la propria debolezza e con l’umiltà di chiedere aiuto.

 

E’ il sacrificio di una compagnia vissuta giorno dopo giorno, di un lavoro  che ricomincia ogni giorno “se Dio è con noi chi sarà contro di noi?”.

 

“Le circostanze sono solo il modo ed il tempo con cui Dio farà venir fuori il risultato, quando e come vorrà.

 

Pazienza, tempo e sacrificio, capacità di aspettare pieni di passione giocando ogni giorno la nostra preferenza e desiderando che gli altri giochino la loro.

 

Intanto viviamo la nostra compagnia: se io sbaglio correggimi, ci correggiamo insieme, camminiamo insieme con questa larghezza di cuore che nasce dalla certezza, perché quando un uomo ha delle certezze comprende tutti, scusa tutti, perché vede riflesso negli altri ciò che deve comprendere di sé.

 

Molta più amicizia, molta più affezione, non più sentimentalismo, possessività, gelosia.

 

Da ultimo: il miracolo diventa la stoffa della vita quotidiana. Il cambiamento di noi stessi e del mondo ogni giorno, anche se per un piccolo pezzettino, fa diventare il nostro cuore più benevolo.

 

Potremmo incontrare Dio nel mondo soltanto attraverso la grandezza degli uomini che credono in Lui. 

 

Capire Cristo per capire le cose, amare Cristo per amare gli uomini, perciò fare della preferenza per Lui il motivo per capire ed il motivo per amare. Fare della preferenza per Lui la ragione della vita, andare per il mondo cercandolo in tutte le strade, parlando a tutti di Lui.

 

Se non ci saranno più uomini sulla terra che quando dicono: “Cristo” dicono un modo di amare, di studiare, di lavorare, di divertirsi, di fare famiglia, di allevare i figli, di pensare al proprio futuro, come si farà ad incontrare Cristo?

L’unico modo è incontrare l’umanità vere di quelli che vivono per Lui.

 

Vivendo questa preferenza la nostra vita diventa segno di Lui e così noi conquistiamo il miracolo, riceviamo da Lui il miracolo di una vita nuova, e ogni giorno di pellegrinaggio sulla terra è un dono sempre nuovo del suo amore per noi.

 

Noi camminiamo nella vita e il Signore ci restituisce la nostra vita come miracolo con tutta la nostra intelligenza ed il nostro cuore, ed attraverso la nostra vita come miracolo noi portiamo il miracolo al mondo, perché il mondo creda.

 

“Sono io che vi ho scelti, non voi che avete scelto me. Sono io che ho scelto voi e vi ho amati perché andiate e portiate frutto ed il vostro frutto rimanga”.

 

Qualsiasi cosa succeda nella nostra vita, qualunque siano le difficoltà che incontriamo, sappiamo che a questa compagnia in cui Cristo è presente potremmo chiedere tutto.

 

Potremmo ricominciare ogni giorno come se fosse il primo: sappiamo che non c’è niente che ci possa strappare dall’amore di Dio, sappiamo che non c’è nessun errore che non è perdonato, ma sappiamo soprattutto che sarebbe una tristezza insostenibile vedere la vita che sfiorisce dell’esistenza.

 

Camminiamo, perciò, nella vita portando seriamente, dignitosamente e pieni di letizia quel significato che ci è stato donato.

 

Che il Signore Gesù, morto e risorto, Redentore dell’uomo, ci aiuti tutti. Questa è la nostra preghiera e la nostra certezza.



              Don Angelo

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