IL DESIDERIO DELL’INCONTRO

Breve ritratto di don Angelo Cassani

(di Marco Ferrario)

Come è possibile raccontare tutto quello che ha fatto don Angelo Cassani? Come è possibile descrivere che eredità ha lasciato in noi che l’abbiamo conosciuto? Cercare di riassumere in breve quello che ha lasciato in me in questi 10 anni di amicizia è impresa ardua: rischierei di lasciare fuori qualche aspetto o di perdermi in una miriade di aneddoti personali slegati uno dall’altro. Desidero, invece, porre l’attenzione su quello che sono certo fosse nella sua vita: la tensione all’incontro con il volto di Cristo non nell’aldilà ma oggi, ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, in tutte le circostanze. Questa tensione, questo desiderio, trova mille canali in cui operare quotidianamente. Ne metterò in evidenza quattro, quattro passioni di cui ho avuta diretta esperienza: la passione educativa verso i giovani, quella per la Chiesa come luogo in cui Cristo è presente oggi, quella per la Madonna, quella per i malati e gli anziani.

Nel cuore di don Angelo batteva una forte passione educativa verso i giovani. Una passione che si potrebbe definire così: amare e sfidare la libertà dell’altro. Don Angelo ha rischiato con noi giovani: ci ha affidato molte responsabilità. L’ha fatto perché sapeva che se fossimo stati in grado in quel momento di portarle in modo adeguato, stando in cammino con Lui in quelle difficoltà saremmo cresciuti come uomini in grado di mettersi in gioco con la vita. La correzione fraterna era il metodo con cui ci ha sempre guidato: per lui amare la libertà non vuol dire lasciare fare tutto ciò che si vuole, ma avere il coraggio di richiamare e correggere l’altro senza però cadere nella smania di farlo stare dentro ai propri progetti, riconoscendo che i tempi di maturazione dell’altro non sono nelle mani degli uomini ma di Dio. In questa correzione non c’è mai stata  una pruderie etica o moralistica, ma l’amore per il destino dell’altro, perché noi prendessimo sul serio la nostra vita e non già nel futuro, ma oggi. E questo era possibile grazie al rapporto con lui.

Questa era la sua proposta: un rapporto di amicizia e di confronto, di dialogo e di critica in cui giudicare di ciò che si viveva per andare a fondo e scoprire cosa c’entrasse con la nostra persona. L’esperienza cristiana è anzitutto l’esperienza di un’amicizia: per questo ci ha sempre sfidato a vivere i nostri rapporti non come gruppo, branco, associazione, ma come comunione. Cristo che vive nel rapporto tra due o più che sono assieme nel Suo nome: la comunione, un’amicizia in cui non contano i limiti, gli errori dell’altro, ma in cui conta il centro a cui guardare per riprendere il cammino dopo un errore, per accogliere i propri e gli altrui limiti, per capire cosa c’entra con la mia vita quello che sto vivendo oggi: e il centro è Cristo. E questa comunione è la Chiesa: la Chiesa nella sua unità, formata da uomini con carismi, talenti, e limiti diversi, ma uniti in Cristo.

L’unità della Chiesa: un’altra delle passioni di don Angelo. E quest’ultima lui la affidava alla sua terza passione: Maria, madre della Chiesa. Costante era il suo richiamo al fatto che in lei è avvenuto il fatto cristiano: Dio che si fa uomo e si mette in rapporto con l’uomo quotidianamente, a tu per tu, attraverso un incontro, un rapporto, attraverso il reale. Ci ha insegnato come lei fosse il mezzo attraverso cui rinnovare costantemente la certezza che il volto di Cristo è incontrabile ogni giorno, nella quotidianità, negli incontri fatti, nella comunione, nella Chiesa.

Da qui la sua intensa attività di compagnia ai malati e anziani: dal fatto che incontrare Cristo nella realtà quotidiana implica incontrarlo anche nella sofferenza, nell’esperienza del proprio limite, anche fisico. Questo permetteva al don di affrontare con il sorriso e con immensa gratitudine anche la propria malattia. La sofferenza era vissuta non come punizione insostenibile o sciagura ineluttabile, ma come occasione per rendersi conto che c’è un Mistero sotto la nostra vita: un Mistero che la genera ogni giorno, che la dona ogni giorno. E’ un Mistero che, però, non ci lascia in balia di questa vita: esso si offre a noi in Cristo come compagnia concreta e presente nella nostra vita. Per don Angelo la sofferenza era l’occasione in cui si ridesta il desiderio di questa compagnia. E allora quando al don si chiedeva “Come stai?”, lui rispondeva “male”, perché la realtà era quella, ma poi sollevando gli occhi al crocifisso esclamava con un sorriso certo: “Bene!”.

Ecco il riconoscimento della Presenza. Ecco come da tutto quello che viveva, traspariva il riconoscimento del volto di Cristo presente oggi, in ogni minuto, in ogni istante, anche in quelli difficili. Ecco, don Angelo era questa tensione, questo desiderio di incontrare Quel Volto attraverso tutto quello che viveva, nella realtà. Ha generato anche in noi quel desiderio. Ci ha educato a vivere la realtà.

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