Via Crucis di tutti noi – 5a Stazione

disegni e foto di Gianfranco Battistella (Via Crucis per il Monastero delle Trappiste Nostra Signora della Moldava -Arcidiocesi di Praga- Repubblica Ceca)

Quinta stazione: Simone di Cirene requisito per portare la croce.

Il facchino che dà una mano a Dio.

Non è un teologo e nemmeno un cardinale. Non si tratta di una persona devota, uno dei “nostri”. Un semplice passante, il primo venuto.

Certo, l’incombenza non era appetibile. Hanno dovuto “requisirlo”. I militari non usano invitare con le belle maniere, non s’informano con garbo: “Chi se la sente? …” Afferrano un tizio che capita per quel bisogno e gli impongono bruscamente: “Su, mettiti lì … caricati di quel peso, altrimenti non arriviamo più a destinazione … quello ci muore per strada … Sbrigati, e non fare tante storie …”

Lui, ovviamente, da principio non deve essere stato troppo entusiasta dell’onore che gli veniva riservato. Non aveva mai fatto male a nessuno, lui. Si teneva lontano dalla politica e dalle beghe religiose, lui. Chissà perché dovevano farcelo entrare per forza in quella faccenda … Lui non aveva niente a che vedere con la storia di questo disgraziato, manco sapeva chi fosse.

Comunque, più che arrovellarci a indovinare che cosa avrà pensato – e mugugnato! – Simone di Cirene, facchino senza vocazione, è bello immaginare che cosa avrà immaginato Cristo di lui.

Per Gesù, il Cireneo, facchino occasionale e comandato, acquistava una fisionomia precisa ed essenziale: “colui che mi aiuta a portare la croce. Un uomo che mi mette a disposizione le sue spalle, e magari anche un angolo del suo cuore, chissà”. Nient’altro.

Al di là dei difetti e delle qualità, delle virtù o delle mascalzonate, della rispettabilità o meno, persona perbene o poco di buono, Simone di Cirene agli occhi di Gesù è, semplicemente, “uno che gli ha recato sollievo”.

Per lui una persona si definisce anche attraverso un semplice gesto: l’offerta di un bicchiere d’acqua, un tozzo di pane, un po’ di compagnia. Un gesto che fissa un individuo in una prospettiva di amore, e quindi di eternità.

“… Un certo Simone di Cirene, padre di Alessandro e di Rufo”, ci informa Marco (15,21). E padre, da quale momento – aggiungiamo noi -, di una famiglia sterminata. Capostipite di una razza di preziosi facchini, disseminati sulle strade della sofferenza umana. La discendenza del Cireneo, per fortuna, si è moltiplicata e allungata all’inverosimile, fino a oggi.

L’appartenenza a questa famiglia viene denunciata da una caratteristica comune a tutti i membri: l’attitudine ad aiutare un fratello a portare la croce (malattia, fame, ingiustizia, esclusione, solitudine, abbandono, problemi economici, lavoro, difficoltà familiari, lutti …).

Non c’è bisogno di fare nomi. Basta quello del patriarca, un certo Simone di Cirene, di professione agricoltore, ma capace di improvvisarsi facchino.

Pensiamo agli infiniti anonimi che alleviano le sofferenze del prossimo, specialisti nel coniugare, silenziosamente, i verbi “chinarsi” e “compatire” in tutte le forme. Specialmente quelli che, pur avendo già troppi guai in proprio, si interessano dei guai altrui.

Preghiera

Anch’io, come lui, d’istinto vorrei scantonare, sottrarmi, passare inosservato, tirare diritto per la mia strada. Ho già i miei fastidi, un sacco di preoccupazioni … Un bel guaio dover modificare il proprio itinerario, accettare che saltino i miei piani.

Ma per un cristiano non c’è scampo. La via è sbarrata dal prossimo.

Signore, cancella dal mio vocabolario l’espressione “io non c’entro”. E anche quell’altra: “Non tocca a me”. Oppure: “Ho già fatto fin troppo … ho pur diritto di starmene un po’ tranquillo …”.

Quando si tratta della croce di un fratello, io c’entro sempre. Dal momento che c’entri Tu.

E quando ho già fatto fin troppo, mi resta sempre da fare … il più.

Amen.

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