
Decima stazione: la spoliazione
Natale di sangue
Quando il corpo di un uomo viene dato in pasto alla curiosità, alle offese volgari, alle sghignazzate della teppaglia, quello non è più un uomo.
“… Se la folla, ha una lingua per gridare, una bocca per fischiare, delle mani per graffiare e scagliare sassi, possiede anche qualcosa di peggio di tutto ciò: gli occhi”. Ha degli occhi terribili la folla. Occhi che possono recare oltraggio a un uomo assai più di tutte le ingiurie e minacce.
“Ha degli sguardi sacrileghi la folla, ha occhi ingordi, spudorati, percorsi da lampi isterici, occhi insultanti che rendono ancora più nudo colui che viene esposto senza riguardi” (S.Conduché).
Vorremmo ci fosse risparmiata questa scena disgustosa. Gesù esposto al ludibrio della gentaglia. Ma Lui “doveva” subire anche questo affronto; passare attraverso la prova umiliante della volgarità, dell’insulto sguaiato, dei gesti villani, dei commenti beffardi.
Un corpo denudato, esposto al ludibrio, dato in pasto agli sguardi sacrileghi dei curiosi, offerto ai commenti di una marmaglia sghignazzante. Simbolo di tutti gli oltraggi che la persona umana, immagine di Dio, avrebbe subito in tutti i tempi.
Gesù spogliato è l’uomo vilipeso nella sua dignità, defraudato, avvilito, manipolato, ridotto a merce di consumo, disonorato.
E’ il povero sfruttato, il debole indifeso di cui tutti approfittano, la vittima di ogni violenza e sopruso, la cavia inconsapevole di tutti gli esperimenti più spregiudicati, il piccolo, il nessuno, l’inerme schiacciato dagli interessi e dai giochi di potere più cinici.
Ma c’è pure un aspetto glorioso in questa scena rivoltante. Essa rappresenta una conseguenza dello “svuotamento” iniziato con l’Incarnazione: “ …Pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua somiglianza con Dio, ma spogliò se stesso…” (Fil 2,6-7).
In realtà, tutto ciò che gli fanno gli uomini, Lui lo ha già accettato, scelto in anticipo. Tutto quello che gli prendono, Lui lo ha già offerto prima.
Difficile, comunque, convincersi che quell’uomo denudato, esposto al disprezzo, è Colui che è stato definito “irradiazione della gloria di Dio” (Eb 1,3), nel quale abita ogni pienezza (Col 1,19).
Eppure il suo splendore consiste precisamente nella spoliazione totale. E la pienezza è quella di chi ha donato tutto, non ha tenuto nulla per sé.
Senza vestiti, gli è stata tolta anche l’ultima protezione, l’involucro intoccabile.
E, prima, gli sono stati tolti gli amici, il prestigio, il favore popolare. I poteri l’hanno vinto, l’hanno spogliato di tutto, compresa la rispettabilità.
Ora veramente viene messo a nudo l’Amore assoluto e si manifesta senza ombre la gloria di Dio. Dobbiamo guardare adorando. Quel corpo nudo è il linguaggio del Verbo che ormai non ha più bisogno di parlare.
Nessun dubbio. Se ne va nudo, allo stesso modo in cui era venuto. “Come è uscito nudo dal grembo di sua madre, così se ne andrà di nuovo come era venuto” (Qo 5,14). Non ci ha tolto nulla, non ha preso nulla della nostra mercanzia.
E’ una specie di Natale. Lui appare nudo come un neonato.
Mancano, però, i pastori per “riconoscerlo” nella sua tunica di sangue impastato con la polvere.
E’ pronta la culla. Se l’è portata Lui stesso sulle spalle.
Tra poco si addormenterà. E, cessati finalmente quei berci sguaiati, filtrerà dal cielo il canto degli angeli: “… Pace in terra agli uomini che Egli ama” (Lc 2,14).
Preghiera
Signore, abbiamo deturpato, sconciato il tuo “progetto uomo”. Abbiamo frugato con mani sordide nel mistero, sconsacrato la persona, profanato la tua immagine.
E tu soffri l’umiliazione e la vergogna di queste nostre disinvolte operazioni.
Io Ti prego, anche: fra le innumerevoli spoliazioni arbitrarie, fa almeno che sappia compiere le spoliazioni necessarie.
Che possa vedere, con lucidità, tutto ciò che impedisce la mia crescita umana e cristiana. Tutto ciò che mi impaccia, mi diminuisce.
Che sappia individuare il pericolo dell’avere che soffoca l’essere, dell’apparenza che impedisce la trasparenza.
Che abbia il coraggio di rinunciare a tutto le mie false sicurezze. Mi spogli del mio io, della supponenza, del ruolo, della parte che ho imparato a recitare per la platea. Perché possa essere vero e ritrovarmi.
E Tu possa finalmente riconoscermi.
Così sia.