Pubblicato su Un popolo in Cammino -settembre 1991
Ringraziamo il Signore! Ne abbiamo motivi grandi.
Innanzitutto per la presenza di Don Enrico tra noi. E’ sempre un grande richiamo a vivere nel particolare della nostra Chiesa che vive in San Giorgio di Jerago il grande respiro della vita di Gesù che si è donato per la salvezza di ogni uomo e perciò un abraccio Cattolico, universale.
Nell’evento della Pentecoste vediamo gli Apostoli rendere testimonianza delle grandi meraviglie di Dio di fronte a persone provenienti da ogni parte della terra. E’ in questo momento che nasce la Chiesa, e fin dalla sua nascita la Chiesa è missionaria. I prossimi sacerdoti, gli apostoli, furono subito orientati dallo Spirito Santo verso l’orizzonte sconfinato del mondo.
Come non riconoscere, in questo, una indicazione molto chiara circa il carattere missionario di ogni ministero sacerdotale?
Succede spesso che la qualifica di missionario venga riduttivamente limitata a chi si dedica alla evangelizzazione in regioni lontane come Don Enrico in Africa e poi in Messico! Pur tributando il massimo onore a questa forma generosa di donazione di sé, che manifesta fino a dove può giungere l’amore totale votato a Gesù, occorre riaffermare che tutta la Comunità cristiana è missionaria in virtù dell’universale e indiviso disegno divino della salvezza.
L’ansia missionaria, perciò, deve essere sentita e partecipata da tutti i cristiani e, in particolare, da tutti i sacerdoti.
Don Enrico era parroco a Legnano. Perchè è partito per altre terre se non per richiamare anche tutti noi a questa grandezza, ad avere questo anelito missionario, questo cuore che abbraccia il desiderio di ogni uomo di incontrare Cristo per avere la gioia di una vita più umana, più gioiosa perché capace di agire secondo l’amore di Cristo nel donarsi senza pretendere di ricevere un contraccambio?
Nella Chiesa il sacerdozio è essenzialmente missionario, e di ciò, il sacerdote deve essere ben consapevole.
Le occasioni che si offrono al sacerdote per esercitare il suo ministero in prospettiva missionaria sono numerose. Queste offrono la possibilità di evitare ogni indebita chiusura negli stretti confini della sua comunità: informandosi e informando i fedeli sulla situazione delle Chiese nei territori di missione, invitando a pregare per le missioni e ad offrire il proprio contributo concreto per le loro necessità. Solo così egli partecipa allo sforzo missionario della Chiesa e ne condivide l’impegno di servizio per la diffusione del regno di Dio nel mondo.
Il sacerdote deve essere questo, deve avere questo cuore dovunque.
Per spiegare con un esempio questo dovere del sacerdote di avere il cuore di Cristo, pronto ad annunciare la vita nuova ovunque e dovunque, ricordo un fatto di questi giorni di vacanza in trentino con alcune nostre famiglie.
Eravamo in cima ad un passo. C’era una baita. Appena arrivati con Curzio e Francesco ho trovato nella baita un uomo che parlava con Lucia che teneva sulle ginocchia. Ho pensato subito: “guarda un uomo che cerca di parlare con la nipotina nella solitudine di questa baita come Dio Padre parla con ciascuno di noi!” Ho scoperto, poi, che quella bambina aveva 12 anni e quell’uomo era suo papà, che la ragazza era su una carrozzina, handicappata che l’unico modo di esprimersi era sorridere e battere le mani per la gioia che qualcuno era andato a trovarla. Ho sentito il dovere e bisogno di chiamare i nostri amici ad essere annuncio di questa nuova vita di Cristo condividendo con me l’accoglienza di quella vita con i suoi genitori invitandoli a prender un caffè con loro. Forse l’impatto è stato forte, ma l’annuncio ai miei amici ed ai genitori, chiaro. Siamo chiamati tutti ad essere missionari, ad annunciare la vita nuova con la nostra posizione umana e non con le parole che spesso sono di convenienza.
Ti ringrazio, Signore, per avermi fatto essere me stesso, noi stessi anche su questi monti.
Mi sono poi soffermato incuriosito presso un maturo signore seduto su una pietra che guardava un monte bellissimo e osservavo il suo quaderno sul quale disegnava le bellezze del creato. Dopo qualche passo per allontanarmi, mi chiama: “Venga Reverendo!. Non ero vestito da prete, chissà come ha fatto a scoprire che ero un prete? “Vede”, mi disse, “io scrivo il mio diario disegnando tutte le bellezze del creato che incontro”, e mi fece vedere, pagina dietro pagina tutto il suo quaderno. “Sa leggere il ladino?” (E’ la lingua locale dell’Alto Adige) “No”, risposi. “Allora gliela traduco io, perché è una lapide che ho scoperta”. diceva: “Noi gustiamo le bellezze che Dio ci ha dato per quel poco che la vita terrena ci permette, ma quando saremo presso di Lui, le gusteremo tutte”.
Quel “signore” (perchè così si è “signori”, non perché possediamo le cose, ma perché le sappiamo contemplare e gustare) è un cristiano che sapeva di essere missionario, di annunciare il Regno di Dio, la sua bellezza e grandezza anche a me, su quei monti e non semplicemente nella parrocchia.
Ma anche don Carlo ci è stato e ci è un dono molto grande.
Gesù ha vissuto la sua universalità restando in Palestina, accanto a quella gente che ora lo seguiva senza comprenderlo, ora un poco lo comprendeva, ora lo metteva alla prova, ora cercava di eliminarlo e alla fine lo ha tradito e abbandonato, ma Gesù è rimasto con loro, Gesù li ha amati fino alla fine.
Così don Carlo resta sempre con la sua gente, quella che il Signore, attraverso il Vescovo, gli ha affidato. Resta con loro con il cuore di Cristo, con la sua fedeltà, con la sua pazienza, con la sua sollecitudine verso il bisogno umano, soprattutto il bisogno di comprendere il “perché Dio ci ha fatto dono della vita”.
E questo è un richiamo ad ogni educatore, ad ogni genitore. Si può vivere da “grandi” come Cristo, si può vivere con un cuore universale, cattolico, dentro all’ambito ristretto della Parrocchia, della famiglia.
Ma è necessario avere il cuore grande, pieno di amore, pieno di misericordia, ricolmo di fortezza nella fedeltà.
Ti ringrazio, ti ringraziamo, Signore, di averci fatto dono di don Carlo attraverso il quale ci hai fatto memoria che la nostra vita può essere vissuta alla “grande” nel piccolo cerchio delle nostre amicizie ed affezioni per essere pronti ad annunciare a chiunque incontriamo la gioia della vita in te, pronti ad accogliere il dono che ci fai dell’incontro con i nostri fratelli che vivono “grati del Tuo Amore”.
Con affetto
Don Angelo
Vi riporto la lettera che don Carlo e don Enrico ci hanno scritto dopo la festa del 14 luglio 1991. E’ una lettera bellissima che vi prego di leggere, rileggere, meditare per farne oggetto anche nel nostro cammino pastorale.
16 luglio 1991
Caro Don Angelo,
mentre offriamo un´ immaginetta – ricordo del nostro 25° (scusandoci per il ritardo), anche come discreto invito a ricordarci qualche volta al Signore nella preghiera personale, vogliamo esprimere la nostra gratitudine per la bellissima giornata comunitaria in onore della Madonna e a ringraziamento per i nostri 25 anni di sacerdozio.
E’ vero che l’onore và al Signore al sacerdozio, che è pur sempre dono Suo, ma insieme ci siamo sentiti onorati anche noi, che tale dono portiamo impresso nella nostra persona.
Grazie per il calore umano che le liturgie ben preparate e ben celebrate, grazie per il pranzo ottimo, sono tutti degli aspetti (compreso il servizio accurato della Pro Loco e dei e delle diciottenni). Grazie per i regali, grazie per il regalo della presenza di tanti sacerdoti amici.
Grazie soprattutto a te, Don Angelo, ispiratore e animatore di tutta la giornata comunitaria.
Ci è sembrato di vedere nei vari settori una folta schiera di collaboratori, sereni, gioiosi e generosi e … di varia età! Credo che sia questo il desiderio di ogni Pastore: poter contare su simili forze; e insieme questa è la prova di un lavoro costante e premuroso, di accoglienza, di apertura, di pazienza verso le persone e di fedeltà nei confronti della verità; sempre nel solco di una tradizione che a Jerago si è sovente espressa anche in vocazioni sacerdotali e religiose: auguri anche per questo.
Il Signore, mediante il Suo Spirito, apra davanti a noi gli orizzonti più ampi dell’apostolato e sostenga il nostro cammino verso di essi.
La Vergine Maria, madre della Chiesa, affidata ai piedi della croce al prete – discepolo continui la sua materna protezione su noi e su tutta questa tua e nostra amata comunità!
In unione di preghiera e
con affettuosa gratitudine
Don Enrico e Don Carlo
Innalziamo il nostro pensiero a Maria Santissima del Monte Carmelo e preghiamola perchè aiuti noi e i preti a spalancarsi al bisogno del mondo, Lei che è Regina delle Missioni, perchè tutta la Chiesa sia annuncio del Regno di Dio.
Don Angelo