L’ADULTO CHE EDUCA

Pubblicato su “Un popolo in cammino”  – Maggio 1997

Per poter comprendere il significato profondo di queste espressioni è necessario definire chi è l’adulto e che cosa vuole dire educare, addentrandosi così in un problema, quello dell’educazione, di fronte al quale comunemente si assumono due atteggiamenti. Da una parte c’è infatti una sorta di atteggiamento di impotenza per cui di frequente si assiste, soprattutto da parte dei genitori, ad una rinuncia ad educare i propri figli con la speranza che quando saranno grandi impareranno da sé. Dall’altra invece c’è un atteggiamento di autoritarismo che limita la libertà dell’individuo creando situazioni spiacevoli e irrigidendo i rapporti tra chi educa e chi deve essere educato. In comune l’impotenza e l’autoritarismo hanno l’assenza di una proposta positiva, di un valore, perché sono privi dell’idea di che cosa sia l’educazione. Domandiamoci allora: che cos’è l’educazione?

Un pastore tedesco, Jungmann, definisce l’educazione come “apertura globale alla realtà  o apertura totale alla realtà totale” mentre San Paolo, riferendosi sia al campo educativo sia a quello culturale, dice: “vagliate tutto, trattenete ciò che è buono“. In entrambe le espressioni emerge un invito ad aprirsi alla globalità della realtà cogliendone tutti gli aspetti, le caratteristiche, le sfumature. San Paolo però aggiunge: “trattenete ciò che è buono“. Ma, che cosa è buono? Oggi c’è un’idea per cui è buono ciò che è condiviso dalla maggioranza, il che spesso porta a qualificare come buono ciò che sembra esserlo ma che in realtà non lo è. Il Papa, a questo proposito, nell’enciclica sulla famiglia, scrive: “la mentalità comune ci ha, alla fine, convinto che è buono ciò che dici e che 20 anni fa era evidente che non lo era”.

Un esempio è dato dall’aborto considerato prima un male e ora, invece, accolto come sopportabile o addirittura consentito dalla legge. Il buono è il positivo o, meglio, ciò che coincide con una realtà positiva. Questa realtà è una meta raggiungibile solo attraverso un cammino, il cammino dell’educazione. Alla base di questo discorso c’è l’idea per cui ciò che educa è la realtà, che è la meta che bisogna raggiungere. Il cammino verso la meta avviene ovviamente attraverso modalità diverse a seconda che ad essere accompagnato sia un bambino, un adolescente, un adulto. In ogni caso il cammino deve avere una collocazione cioè deve essere un cammino che affascini. Si pensi, per esempio, ad una gita in famiglia: se la proposta che il genitore fa al figlio avviene con entusiasmo, la gita è un piacere. Se invece non c’è fascino nella proposta, la gita, cioè il cammino verso la meta, diventa un dramma. Spesso nel cammino di accompagnamento dei figli, i genitori non li affascinano, non danno la motivazione giusta per il cammino per cui il cammino si trasforma in una lamentazione continua che crea ostacoli nel rapporto. Il problema educativo diventa così un problema di estetica nel senso che bisogna dare un gusto a ciò che si fa ed affascinare i ragazzi che vengono educati indicando loro il bello per cui vale la pena di vivere e fare fatica. Ciascuno dunque si chieda: “propongo con fascino ciò che devo trasmettere o come se fosse un peso?“ Bisogna imparare fin da quando ci si sveglia al mattino ad essere presenza che si offre sorreggendo, sorridendo, confortando.

Il problema educativo deve diventare oggetto di dialogo fra i genitori che devono chiedersi: “come stiamo conducendo questa nostra unione matrimoniale per crescere I nostri figli?“ Non si tratta solo di un discorso ma della vicenda di un rapporto perché non si muove un cammino educativo se non c’è un’esperienza di educazione concreta giorno per giorno. In conclusione, non c’è educazione se non c’è un rapporto tra persona e persona.

Un altro aspetto molto importante è che niente assume valore educativo se ciò che muove l’educatore non è il bisogno del bene ultimo di sé e degli altri. Il rapporto educativo è, come si è detto sopra, una questione di estetica, ma è anche una questione d’amore tale per cui si deve accettare che colui che si fa educare faccia scelte diverse da quelle che l’educatore vorrebbe per lui. Spesso infatti i genitori pretendono che un figlio cresca in un certo modo, ma, il più delle volte, il figlio sceglie vie diverse. Un vero educatore deve però avere rispetto della libertà di scelta dell’altro e, proprio perché il rapporto educativo è un gesto d’amore, bisogna accettare il rischio di una possibile dissonanza finale tra le aspettative dell’educatore e le scelte concrete di chi è educato.

In teoria si è tutti convinti di quanto detto, ma nella realtà si incontrano difficoltà oggettive nel corso del cammino educativo per cui non sempre l’adulto è educatore. Affinché si determini questa coincidenza è necessario che l’adulto sia disposto a lasciarsi continuamente educare. Se infatti educazione e apertura globale alla realtà, anche l’adulto ha bisogno di essere accompagnato verso un pezzo ancora sconosciuto della realtà. Inoltre è necessario che chi educa faccia riferimento a dei valori che sono quelli che hanno formato in positivo la sua vita e l’hanno resa bella. La struttura che conserva questi valori è la tradizione. Un educatore deve rimanere fedele a questi valori, cioè alla tradizione, e trasmetterli dentro al presente. Se infatti in un rapporto educativo manca la trasmissione dei valori della tradizione crescono personalità di scettici e indifferenti. Spesso oggi si sente dire che c’è un dolce nichilismo nel senso che non ci sono più punti di riferimento per i giovani e nulla più li affascina. Di fronte a questa mentalità comune il compito dell’educatore diventa ancora più grande e affinché la proposta educativa sia veramente efficace c’è bisogno di un’autorità, non di autoritarismo. L’autorità e ciò che fa crescere, che insegna a vivere riferendosi a dei valori. Solo un adulto può essere un’autorità. 

Ma, chi è l’adulto? Tre aspetti ne definiscono la persona:

1)-l’adulto è colui che sa rendersi conto del positivo che ha ricevuto e che diventa ragione della sua esistenza.

2)-l’adulto è colui che in virtù di ciò che gli è stato proposto è critico di fronte alla realtà cioè: sa scegliere ciò che è buono, giusto, bello, umano, difendendo poi le proprie scelte.

3)-L’adulto è colui che nel confronto con la realtà sa in ogni circostanza dar ragione della sua originalità non cancellando se stesso, ma difendendo le proprie convinzioni.

Il bello della vita sta proprio in questo. Si è tutti diversi e vivere in democrazie non significa far finta di andare d’accordo su tutto, ma essere liberi di esplicare fino in fondo la propria originalità proponendosi in ogni momento come guide in un cammino educativo che rispetti la libertà dell’altro. 

Don Angelo



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