San Marco Evangelista

fonte immagine: famigliacristiana.it

Pubblicato su Un popolo in cammino – 1990

A Gerusalemme, subito dopo la miracolosa liberazione del carcere, Pietro si reca “nella casa di Maria, la madre di Giovanni soprannominato Marco”, dove i fedeli erano radunati in preghiera per il capo della Chiesa (At.12,11-17). La madre di Marco, forse già vedova, dato che non si parla dello sposo, aveva messo a disposizione della Chiesa primitiva la sua casa signorile. Pietro doveva essere conosciuto bene, Rode, la portinaia, riconosce immediatamente la voce nella scena molto bella e viva raccontata dagli Atti degli apostoli.

Alcuni studiosi, basandosi su testimonianze antiche, ritengono che, molto probabilmente, nella stessa casa Gesù abbia celebrato l’ultima Cena (il cenacolo) e che gli apostoli con Maria la madre di Gesù, abbiano atteso la discesa dello Spirito Santo.

Forse apparteneva alla famiglia di Marco anche il Getsemani, ai piedi del monte degli Ulivi, dove Gesù passava le notti in preghiera quando si fermava a Gerusalemme. Questo fatto lo si può dedurre, con qualche probabilità, dall’episodio narrato in Mc.15,51 SG. : nel Getsemani, arrestato Gesù, dopo che gli apostoli erano fuggiti, “Un giovanetto, avvolto soltanto di un lenzuolo, seguiva Gesù. I soldati cercarono di prenderlo ma egli fuggì nudo, lasciando nelle loro mani il lenzuolo”. Secondo ottimi critici questo è l’autore del Vangelo che mette la sua firma: il  giovinetto è Marco che in quella notte si trovava a dormire nella casetta del campo del  Getsemani. Svegliato dai rumori dei soldati che catturavano Gesù, era corso a vedere gettandosi addosso solo il lenzuolo.

 

La casa di Maria dopo la Pentecoste, diventò probabilmente l’abitazione abituale di S. Pietro e uno dei primi battezzati da lui fu Marco, appunto per questo lo chiama “Mio Figlio” (I° Pt.5,13).

Nel 44 circa, quando Barnaba  e Saulo (S.Paolo) vennero da Antiochia per portare alla chiesa –madre di Gerusalemme le offerte di quella comunità evangelizzata e curata da loro furono, naturalmente, ospitati nella casa di Marco.

Egli, infatti, era cugino o nipote di Giuseppe Barnaba, di famiglia levitica, originario di Cipro. I due apostoli, ritornarono ad Antiochia portando con loro, come aiuto nell’apostolato, “Giovanni soprannominato Marco” che ormai non era più un giovinetto. (At.12,25)

Quando Barnaba e Saulo partirono per un viaggio missionario, circa nell’anno 45, diretti a Cipro, avevano con loro Giovanni, utilissimo strumento per la loro opera apostolica di evangelizzatori.

Paolo di Cipro si diresse nella vicina Asia Minore, sbarcando a Perge, ma quando dalla costa volle andare verso l’interno, attraverso zone paludose per risalire la catena del Tauro e raggiungere Antiochia di Pisidia, capitale della regione, Marco lasciò i due apostoli e se ne tornò a Gerusalemme probabilmente spaventato per le difficoltà che aveva incontrato e che riteneva superiori alle proprie forze (At.13,13).

Alla fine di questo viaggio missionario, nel 49, Paolo e Barnaba sono stati inviati dalla chiesa di Antiochia a Gerusalemme da Pietro, per difendere la libertà dei gentili nei confronti di quei Giudei convertiti, i quali pretendevano che loro che erano battezzati e che provenivano dal paganesimo, per essere ammessi a far parte della chiesa, dovevano sottoporsi alla circoncisione e praticare le altre prescrizioni della legge di Mosè.

Paolo e Barnaba, in questo loro soggiorno a Gerusalemme, si fermarono senza dubbio nella casa ospitale di Maria e di Marco. Quando Marco vide ciò che era capitato ai due apostoli, ed in particolare a Paolo, e le loro sofferenze sopportate per la diffusione del Vangelo, si vergognò di essersi lasciato vincere dalla paura.

Ritornò, perciò, con loro ad Antiochia e quando, dopo un po’ di tempo Paolo propose a Barnaba di riprendere il difficile cammino apostolico, questi volle prendere con sé Giovanni chiamato Marco (At.15,37). Paolo, però, ricordando che precedentemente li aveva abbandonati, non volle cedere all’insistenza di Barnaba. “Si produsse tra loro un certo dissenso e si separarono l’uno dall’altro e Barnaba, preso con sé Marco, si imbarcò per Cipro mentre Paolo, prendendo con se Sila, partì affidato dai fratelli alla Grazia del Signore” (At.15,35-40).

Gli Atti degli apostoli, dunque, lo nominano talvolta semplicemente come “Giovanni” (13,5-13),oppure come “Giovanni soprannominato Marco” (12,12-25) e talvolta solo come “Marco” (15,39).

 

La maggior parte dei critici vede in “Giovanni” o “Giovanni soprannominato Marco” o “Marco”, la medesima persona, discepolo di Paolo e di Barnaba. Il nome dato dai genitori al momento della circoncisione era usato in Palestina e il nome aggiunto, di origine greca, era usato tra i pagani.

Nel 61 è nuovamente con Paolo. Paolo,scrivendo ai Colossesi ed a Filemone, mentre è in attesa di essere giudicato dal tribunale di Roma, raccomanda ai primi di accogliere bene Marco che è tra i suoi coadiutori di stirpe giudaica (Col.4,10 sg.) –Fil.24). Più tardi ancora, nella seconda prigionia a Roma poco prima del martirio S. Paolo scrive a Timoteo posto da lui a reggere la chiesa di Efeso, di venire da lui e di condurre con se Marco “che è molto utile per l’opera del ministero” (II° Tim. 4,11). Se questo desiderio ha potuto essere realizzato, Marco era presente alla gloriosa fine dell’apostolo delle genti.

D’altra parte Pietro, nella sua prima lettera, scritta da Roma verso il 60, “saluta i cristiani del Ponto, della Galizia, della Cappadocia, dell’Asia e della Bitinia” a nome di Marco. Questi era, perciò, a Roma con Pietro e dal saluto rivolto a nome di Marco dovremmo dedurre che Marco era conosciuto dai cristiani a cui la lettera era indirizzata.

La tradizione cristiana conferma gli stretti rapporti di apostolato di Marco con Pietro.

(continua)

Ci viene alla mente ed al cuore il richiamo fattoci da Giovanni Paolo II°: “La Chiesa è, per sua natura, missionaria”. Dio è Amore gratuito, è Amore che ha il gusto di donarsi, di renderci partecipi della sua vita. E questo perché noi abbiamo a trascorrere la nostra esistenza donandoci agli altri con la sua stessa gratuità: solo così possiamo dire di partecipare veramente alla vita di Dio in Gesù. E questo è essere missionari.

Coraggio! Anche se il mondo vive per i propri interessi uno ha vissuto diversamente e così possiamo fare noi: vivere diversamente, nella grazia.

E … “se quelli  e questi sono diventati santi perché non io?

 

Siamo spesso meschini ma non ci scoraggiamo nemmeno di fronte ai nostri peccati perché siamo amati e questa è la molla e la forza che ci dona il coraggio di rialzarci ogni giorno.

Don Angelo



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