Via Crucis di tutti noi – 3a Stazione

disegni e foto di Gianfranco Battistella (Via Crucis per il Monastero delle Trappiste Nostra Signora della Moldava -Arcidiocesi di Praga- Repubblica Ceca)

Terza stazione: prima caduta.

La terra registra il sussulto del cuore di Dio.

“Ecco l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo” (Gv 1,29).

L’agnello sta a indicare l’obbedienza, la docilità.

Ed è sottesa l’idea di un amore inerme che arriva fino all’immolazione suprema, al sacrificio totale di sé.

Gesù, servo-agnello di Dio, ha la missione di togliere, portare via il peccato del mondo. Strano, proprio l’agnello, un animale che non può essere considerato da soma, non fa certo pensare alla forza e alla robustezza, si accolla il peso più schiacciante. E finisce inevitabilmente per stramazzare al suolo. E la terra registra i battiti accelerati del cuore di Dio, che sembra sul punto di scoppiare.

Poco importa che le tre cadute non vengono registrate dal Vangelo, ma trovino posto semplicemente nella tradizione e nella fantasia popolare. Possono essere più che verosimili, tenuto conto delle circostanze. Dopo quella notte terribile, Gesù è allo stremo delle forze, ai limiti della resistenza. Svuotato, disfatto, distrutto. 

Non riesce più a camminare. Arranca faticosamente, ciampicando in maniera penosa.

Le sue spalle sono fragili né più né meno delle mie, delle tue, di quelle di ogni uomo. E il peso finisce per schiantarlo. Il troppo è troppo. Anche per un Dio che non intende recitare la parte dell’eroe, ma condividere la debolezza umana.

Certi carichi risultano insopportabili, soprattutto quando sono fabbricati dalla crudeltà degli uomini. Dio non ne può più. Non ce la fa più. Viene meno.

Di mestiere ha fatto il falegname, o qualcosa di simile. Ma una trave come questa non l’aveva mai assaggiata. Pare le abbiano ficcato dentro il peso della malvagità e delle nefandezze del mondo intero.

Un uomo che cade appare sempre un po’ ridicolo. E lui ha l’impressione che tutti gli stiano addosso, almeno col loro fiato. Una cosa insopportabile.

Forse in quel corpo in cui si sono abbattute le frustate c’era ancora qualche centimetro intatto: le mani, le ginocchia. Ora è tutto una piaga. Impastata di sangue e polvere.

Le autorità si tengono stretto il potere, gli scribi i loro libri, i mercanti i loro soldi. E tutti sono impazienti che sgombri il terreno, se ne vada dalla città, abbia il buon gusto di uscir fuori al più presto, per non intralciare il traffico …

Lui ha lasciato il cielo. E pare che proprio in questo istante raggiunga il suo sogno di abbracciare la terra, circondandola col sangue e occultandovi i segni del suo amore.

Questa, comunque, è la “stazione” del corpo di Cristo che continua essere il continente smisurato del dolore fabbricato dagli uomini.

Pensiamo, in particolare, alle vittime innocenti dei giochi perversi dei potenti. Ai bambini terrorizzati, orribilmente mutilati dalle esplosioni provocate dai terribili giocattoli degli adulti.

Preghiera

“Portate pesi gli uni degli altri”, ammonisce Paolo (Gal. 6, 2). Io, invece di ascoltare questo consiglio, sovente aggiungo il peso della mia meschinità al fardello già insopportabile di qualche “prossimo” barcollante.

Anch’io, qualche volta, non solo mi sono rassegnato a veder soffrire l’uomo, ma mi sono accanito a farlo soffrire. Io pure sono un produttore di dolore, di cattiveria.

Signore, rendici coscienti che, allorché ci rifiutiamo di alleggerire il carico del fratello che soffre, finiamo per aumentare il peso, fino a schiacciarlo …

Così non sia.

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