Storia ed ipotesi di restauro della Vecchia Chiesa di San Giorgio – parte seconda

Pubblicato su Un popolo in cammino nell’anno 1993

(segue)

Storia ed ipotesi di restauro della Vecchia Chiesa di San Giorgio

Descrizione strutturale e delle forme di degrado

Entriamo ora nella fabbrica, dopo aver cercato nella precedente relazione storica, di porre ordine al vario sovrapporsi e sommarsi di interventi realizzati in epoche cronologicamente diverse.

Faremo ciò proponendo una lettura graduale e puntuale dei vari tipi di struttura ed in particolare cominceremo con l’individuare le strutture esterne e quindi, gradualmente, quelle portanti con funzione principale, quelle parzialmente portanti o portanti solo se stesse ed infine quelle portate o decorative.

Tale approccio non è da intendersi come una scala gerarchica dei valori d’importanza delle strutture componenti la fabbrica, ma come uno schema per evidenziare gli stati di alterazione (patologie e forme di degrado) nonché la discontinuità del tessuto murario.

  1. Le strutture esterne

Con il termine strutture esterne intendiamo identificare i terreni con cui la costruzione, tramite la fondazione, è in diretto contatto.

Nel nostro caso specifico, il complesso di S. Giorgio si insedia su di un terrapieno contenuto al piede da un vecchio muro in c. a. dell’altezza di 3,5 m che delimita il campo sportivo sottostante.

In base ai rilevamenti eseguiti dalla ditta “Consonda” in occasione del recente restauro del campanile, è emerso che il terreno in questione è composto da rocce sciolte, cioè da aggregati naturali con scarsa coesione tra gli elementi costituenti: pertanto l’insieme si presenta caratterizzato da un’elevata porosità (quando addirittura non siamo di fronte a minuscoli anfratti e interstizi).

2) Le strutture portanti principali

Affrontiamo ora la conoscenza delle strutture portanti principali, che costituiscono l’ossatura portante della fabbrica (sono solo verticali e praticamente sono le  fondazioni e le murature portanti).

2.1) Le fondazioni

E’ notoriamente molto difficile rilevare e comprendere le fondazioni di un edificio in quanto risultano essere sempre occultate alla vista: solitamente si ovvia a tutto ciò con un sondaggio, da attuarsi possibilmente tramite l’uso di tecniche non distruttive (ad esempio tramite gli ultrasuoni).

Chiaramente nel nostro caso, non disponendo dell’attrezzatura e dell’esperienza idonee, tale trattazione risulta vana: tuttavia esiste a tal proposito una relazione sempre della ditta “Consonda” che ha eseguito un sondaggio relativo alle fondazioni del campanile, nonché delle parti della chiesa circostanti quest’ultimo (in particolare la sacrestia).

Ebbene, è risultato che le fondazioni (in particolare delle pareti a nord) sono a quota superficiale, o quasi affioranti, a causa dei lavori eseguiti nel corso del tempo, per scavo e ribassi circostanti e poggiano su blocchi in pietrame roccioso apparentemente non cementati (secondo uno scavo di assaggio eseguito in fregio).

2.2. Le murature portanti

Gli apparecchi murari portanti nel complesso di S. Giorgio possono essere definiti a tessitura disomogenea, composti cioè da elementi di diversa natura e, nel nostro caso specifico, da un accoppiamento strutturale tra laterizio e pietra, legati ovviamente tra loro dalla malta.

Tale osservazione ha la sua rilevanza, poiché solo attraverso un’attenta analisi ogni materiale costituente (preliminarmente valutato in modo critico riguardo le sue caratteristiche alterazioni), è possibile proseguire lungo quel cammino che ci porterà ad individuare le forme e le cause di degrado, inerenti la fabbrica di S. Giorgio.

Pertanto ciò che segue è un’attenta descrizione dei materiali lapidei presenti nelle murature principali.

2.2.1) Laterizi

I laterizi sono costituiti d’argilla che si presenta a sua volta costituita da catene molecolari che danno luogo a sottili lamelle intercalate da strati di acqua. Ognuna di queste lamelle si suppone che abbia sulla propria superficie degli ioni positivi e negativi: in mancanza di forze esterne di plasmazione, si suppone che la coesione dell’argilla bagnata sia dovuta al fatto che l’acqua sarebbe immobilizzata dal campo prodotto dagli ioni positivi, assumendo una viscosità molto grande che impedisce lo scorrimento delle particelle.

Ma quando si applicano forze esterne all’argilla per plasmarla le lamelle vengono piegate fino a che qualche estremità libera finisce per toccare altre particelle: in questi punti di contatto si stabiliscono forze attrattive abbastanza intense da poter mantenere aderenti le particelle anche dopo che sia stata tolta la sollecitazione; è questa la ragione della plasticità dell’argilla, cioè della sua capacità di essere modellata assumendo quindi deformazioni permanenti.

Quando si aumenta (tramite la cottura) la temperatura del mattone d’argilla si provoca l’evaporazione degli elementi volatili (acqua, anidride carbonica): la rigidezza dell’argilla aumenta seccando perché le particelle lamellari si avvicinano facendo aumentare l’ordine e la viscosità dell’acqua interposta: con il ritiro, aumentano anche i punti di contatto tra le particelle, che si legano per interazione con i loro ioni mediante altre interazioni elettrostatiche ed è proprio ciò che rende il materiale molto compatto. I laterizi che costituiscono le murature del complesso di San Giorgio sono stati naturalmente eseguiti a mano, data la vetustà dell’edificio, e proprio in funzione di quest’ultima considerazione, sarà logico attendersi una notevole differenza strutturale, di elasticità e di resistenza di un mattone così vecchio rispetto ad uno di quelli odierni impastato ed eseguito meccanicamente.

Infatti basterà pensare alle importanti conseguenze che solo una diversa tecnologia di cottura può provocare ad un’apparecchiatura muraria in laterizio.

Ad esempio nei forni tradizionali, con fuochi alimentati da legname, l’elemento, fino all’evento dell’industrializzazione, veniva cotto secondo sistemi che nel complesso risultavano addirittura più adeguati ad una giusta cottura, migliore di quelle attuali eseguite nei forni nafta, che oltretutto depositano nel materiale dannosissime scorie a base di zolfo. E’ noto che lo zolfo si combina con l’acqua presente nell’atmosfera nelle forme più diverse dando origine ad acidi altamente corrosivi. Chiaramente il laterizio ha numerosi altri difetti, propri della sua natura ma per analizzarli, bisognerebbe considerare tutti quei parametri tecnico-scientifici (resistenza meccanica e proprietà chimico-fisiche) riscontrabili solo in laboratorio, pertanto impossibili da analizzare in questa sede.

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