Storia ed ipotesi di restauro della Vecchia Chiesa di San Giorgio – parte terza

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Pubblicato su Un popolo in cammino nell’anno 1993

Storia ed ipotesi di restauro della Vecchia Chiesa di San Giorgio – parte seconda

(Segue)

2.2.2) Pietra

Il pietrame utilizzato per la chiesa di S. Giorgio si presenta sotto forma di conci non lavorati; anzi presumibilmente si tratta di veri e propri “sassi” locali, che affiorano solitamente dissodando il terreno.

Pertanto non trattandosi di materiale sottoposto a lavorazioni per l’estrazione o la posa (tutte operazioni che possono alterare la materia innescando delle microfratture), è lecito aspettarsi che tale pietrame sia esente da difetti di natura propria.

2.2.3) Tecnologie di messa in opera della muratura

La muratura propria dell’edificio ecclesiale si presenta come piena mista in conci di pietrame non squadrato, con prevalenza di laterizio e frammenti di laterizio disposti regolarmente secondo dei corsi, il tutto per uno spessore di circa 70 cm.

Nella parte relativa alla sacrestia, invece la muratura è mista in blocchi, laterizio, frammenti di laterizio con prevalenza di conci di pietrame disposti irregolarmente. Da notare che l’apparecchio murario è a vista nella parte esterna, in tutta la sacrestia.

Dopo questa breve posizione tecnica sulla muratura portante, occupiamoci del suo stato di conservazione, soprattutto per quello che concerne le patologie di degrado (ed eventualmente dissesto) limitatamente ai due materiali (laterizio e pietrame) trattati finora.

2.2.4) Stato di conservazione del laterizio e del materiale lapideo

E’ importante stabilire preliminarmente, che salvo per alcuni difetti, intrinseci nei materiali (quali ad esempio le impurità di zolfo presenti nei laterizi, come visto in precedenza), la quasi generalità delle patologie di degrado riscontrate sono sempre innescate dall’acqua presente nella costruzione.

E’ rarissimo infatti riscontrare nella prassi fenomeni con tali e complesse ragioni e connessioni reciproche che scaturiscono senza la minima presenza di umidità o vapore, che è sempre presente in notevole quantità in ogni costruzione, nei suoi stessi materiali, nell’atmosfera interna ed esterna, nel terreno.

L’acqua può agire da sola, occludendo per capillarità i pori del materiale, aumentando il peso delle strutture, con dilavamenti dei paramenti esterni, provocando l’insalubrità degli ambienti, degradazioni oppure in modo combinato (come vedremo in seguito) con altri elementi come zolfo, contenuto nell’aria, o negli stessi materiali che si trasforma in acido solforico, altamente corrosivo, e in altre innumerevoli modalità.

Fatte queste dovute considerazioni, torniamo ora sul laterizio e il pietrame in questione, notando che essi si presentano all’esame visivo, generalmente degradati. Si è rilevato (specie nel laterizio) un fenomeno di scagliatura e cioè un distacco parziale di scaglie di forma e spessore irregolare con dimensioni variabili, scaglie che sono costituite da materiale apparentemente inalterato.

Le cause di ciò sono di origine fisico-meccanica e da ricercarsi soprattutto nella gelività; vediamo pertanto che essa è un degrado legato, ancora una volta, alla presenza dell’acqua.

Questo fenomeno è molto evidente in quelle parti della fabbrica in cui manca totalmente o parzialmente un’adeguata protezione all’acqua meteorica, tale acqua impregna il laterizio (evidentemente i più colpiti sono i laterizi maggiormente porosi, perché male impastati nella lavorazione preliminare alla cottura) e quando la temperatura si abbassa, il liquido contenuto nei pori, si trasforma in ghiaccio, aumenta di volume e provoca appunto effetti quali gli stacchi di materia più o meno consistenti, in superficie o anche in profondità.

Altro fenomeno degradante di origine fisico-meccanica è quello del dilavamento superficiale dovuto alla pioggia battente che provoca, praticamente, un “ruscellamento” lungo tutto il paramento. Tale patologia è stata rilevata in forma estesa soprattutto sui laterizi e sul pietrame costituente l’abside, nonché sulla parete Nord (quella adiacente il campanile) e su tutta la muratura della sagrestia.

Chiaramente la causa di tutto ciò è imputabile all’assoluta mancanza della copertura nelle zone della chiesa sopracitate; la conseguenza è essenzialmente un ruscellamento che veicola le particelle aderenti alla superficie, aumentando quindi la porosità del materiale stesso.

Nell’ambito dei fenomeni di origine chimica si è constatato invece, specie sul laterizio in questione, la presenza di depositi di sale ed efflorescenze; tale patologia si presenta però puntuale (soprattutto in zona sagrestia) e non estesa (al contrario della presenza sugli intonaci, come vedremo in seguito)

Tale degrado si presenta visivamente sotto forma di macchie biancastre; quando i sali presenti nei fori del materiale (per i laterizi si tratta essenzialmente dei solfati di calcio, di sodio, magnesio, potassio, formatisi durante la cottura) cristallizzano, essi aumentano di volume provocando delle forze meccaniche che creano le escoriazioni ed il distacco superficiale di croste dell’elemento.

La colpa di tale degenerazione è da imputare ancora una volta all’acqua che (in tutte le sue manifestazioni, cioè pioggia, nebbia, gelo, risalita capillare) tende a migrare entro la rete porosa del materiale, trascinando con sè verso la superficie tutti i sali presenti; una volta che l’acqua evapora i sali invece restano, innescando quindi il degrado.

E’ stato rilevato poi il fenomeno dell’erosione, cioè una perdita di sostanza che può arrivare fino alla polverizzazione della sostanza stessa, soprattutto nei laterizi della zona absidale, ancora una volta quelli più interessati dall’umidità. Infatti è proprio l’umidità, unita all’azione dei sali, che innesca tale degrado che praticamente è una diretta conseguenza della patologia precedente (depositi di sale ed efflorescenze).

Si è riscontrata la presenza di muschi e licheni, presenza ravvisata soprattutto sui laterizi e pietrame della sagrestia, della zona absidale, nonché della zona mediale dell’edificio ove manca la copertura.

Tale alterazione non appare subito evidente poiché all’inizio è costituita da una microflora quasi invisibile di batteri e funghi: ad essi seguono poi i muschi e i licheni.

Praticamente abbiamo a che fare con microrganismi che, non avendo bisogno di un substrato contenente sostanze organiche, possono colonizzare direttamente su un supporto tipicamente inorganico (come ad esempio l’affresco) e per questo vengono indicati come agenti primari di alterazione.

Essi si presentano macroscopicamente sotto forma di patine verdastre, sono assai poco condizionati da parametri climatici e ciò li rende capaci di sopravvivere anche in condizioni che sarebbero letali o inadatte ad altre specie biologiche.

Infatti la loro crescita avviene nelle condizioni più povere dal punto di vista nutrizionale; necessita soltanto di tracce di elementi inorganici nel substrato, di acqua, di luce, di anidride carbonica e di azoto.

La degradazione indotta da questi microrganismi è causata dall’azione acida dell’anidride carbonica espirata ed in parte dagli acidi organici prodotti dal metabolismo e si manifesta con una sorta di corrosione acida delle superfici.

Parlando di cause, riguardo tale alterazione, risulta ancora una volta lampante la responsabilità dell’umidità unita però anche al fatto che tali organismi si accrescono grazie anche ai semi più leggeri che vengono trasportati dal vento e dai volatili.

(continua)

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