Quaresima – Il risveglio nel cuore cristiano della memoria di un incontro

Pubblicato su Un popolo in cammino – febbraio 1991

Fonte: famigliacristiana.it

Molte volte mi sono sentito dire: “Ma ci sono non-cristiani che amano molto di più dei Cristiani! Come me lo spieghi?

Ebbene, il cristianesimo non aggiunge nulla alla realtà dell’amore: non fa altro che rivelare questa realtà. Non portiamo Dio agli uomini che non lo conoscono: Dio ci ha preceduti da tempo. Dio è il grande Missionario: “Egli illumina ogni uomo che viene al mondo”. “Attira tutto a sé”. “Chiunque è per la verità comprende la sua voce”.

Noi aiutiamo soltanto a riconoscere l’origine dell’amore, il senso, la vera natura di questa realtà della quale vivevano prima di noi.

Amare una persona è assolutamente diverso dal farle dei regali: è risvegliarla alla totalità del suo essere. Allora una vita personale piena diventa possibile. Benchè non sia indispensabile, è prezioso prendere pienamente coscienza di ciò che ci guida e ci anima. Senza dubbio si può seguire una condotta giusta con idee sbagliate ed una condotta sbagliata con idee giuste.

L’ideale è unificare le idee con la condotta. Ora, una osservazione paziente ed oggettiva dell’amore, che ci porta a servire i nostri fratelli, ci fa accorgere che l’amore è in noi come se non fosse una cosa nostra.

Più il nostro amore si perfeziona, e più ci rendiamo conto che ci è donato, che non ci appartiene, che la condizione per diventare grandi in esso è quella di cancellare maggiormente noi stessi.

L’amore è in noi come una comunicazione, a volte come una forza che si muove e come una persona che ci ispira mentre passiamo.

Il cristiano esprime questa esperienza dicendo con S. Paolo: “Non io vivo, ma Cristo vive in me”.

Poiché sarete stati abbastanza poveri per osservare e credere alle grandi cose che Dio fa in voi pur nella vostra povertà, potrete aiutare gli altri a riconoscere e a credere alle grandi cose che Dio fa da sempre a tutti gli uomini, pur nella loro povertà.

La Chiesa non monopolizza Dio, né la Grazia, neppure l’amore. Ma essa è, o dovrebbe essere attraverso noi cristiani, il Sacramento, il segno, l’espressione, cioè la rivelazione, la manifestazione di ciò che lo spirito di Gesù suscita sempre in ogni uomo.

La vera differenza tra un cristiano ed un pagano non consiste in una diversità di qualità e di virtù.

Un cristiano è semplicemente qualcuno che ha incontrato Cristo, che ha sperimentato che Gesù è vivente oggi, che vive in lui e negli altri; che crede che l’amore è qualcuno.

Allora, il cristiano propone modestamente il risultato della sua osservazione, della sua esperienza di vita che egli vive e verifica fino al termine dei suoi giorni, in sé e negli altri.

Cosa manca agli altri? Hanno ragone più di quello che pensano, perché amano e servono.

Ma non possiedono la vera sorgente inesauribile della ragione e della forza di amare.

Per noi cristiani, senza questa sorgente, senza questo riferimento concreto a Cristo, tutti i valori morali diventano astratti: ideali, dimostrazioni, filosofie.

La più bella definizione del cristiano: non è un virtuoso, un intelligente, uno particolarmente capace, ma qualcuno che è abitato.

Rispetta in lui la presenza di un altro. Vive in un dialogo, e poiché sa di essere oggetto di Grazia, può essere fonte di Grazia. Senza dubbio, gli atei possono essere onesti, generosi, leali, razionali, ma la questione decisiva resta che: vivono i loro valori nell’autonomia, come proprietari, come se i loro valori appartenessero a ciascuno profondamente, totalmente.

Il vero cristiano è un povero: sa che riceve tutto ciò che dà.

Purtroppo si costata spesso che molti cristiani sono proprietari del loro Dio, della loro virtù, dei loro meriti. Il fariseismo è un vizio tipicamente religioso.

I cristiani possono dire agli atei animati da spirito di carità: “Voi adorate ciò che non conoscete. Noi adoriamo ciò che conosciamo” (Gv. 4,22), ma dovrebbero avere l’umiltà di dire loro: “E voi lo adorate spesso meglio di noi senza conoscerlo”.

Ecco, allora, il compito della nostra Quaresima:

  • Avere l’umiltà di riconoscerLo abitante in noi.
  • ConoscerLo sempre più per amarlo maggiormente con la nostra vita
  • Illuminare l’esperienza dell’amore che i nostri fratelli fanno perché sappiano che la fonte della loro opera di carità è Cristo.
  • Vivere nella gratitudine del dono ricevuto.

Non possiamo dimenticare quanto l’umanità oggi aneli alla pace, all’amore e tocchiamo con mano la nostra incapacità perché dominati dall’orgoglio, dall’egoismo… ed è guerra!

Ma noi preghiamo e chiediamo di essere noi, in Gesù, il luogo della pace attraverso il perdono.

Perciò riporto la preghiera che Giovanni Paolo II ha scritto perché ogni persona, ogni famiglia, innalzi al Signore l’invocazione perché ci conceda la pace.

Don Angelo

 

“Dio, ascolta il grido”

“Dio dei nostri padri, grande e misericordioso, Signore della pace e della vita, Padre di tutti, tu hai progetti di pace e non di afflizione, combatti le guerre e abbatti l’orgoglio dei violenti. Tu hai inviato il tuo Figlio Gesù ad annunziare la pace ai vicini e ai lontani, a riunire gli uomini di ogni razza e di ogni stirpe in una sola famiglia. Ascolta il grido unanime dei tuoi figli, supplica accorata di tutta l’umanità: mai più la guerra, avventura senza ritorno, mai più la guerra, spirale di lutto e di violenza; mai questa guerra del Golfo Persico, minaccia per le tue creature in cielo, in terra e in mare”.

In comunione con Maria, la madre di Gesù ancora ti supplichiamo: parla ai cuori dei responsabili delle sorti dei popoli, ferma la logica della ritorsione e della vendetta, suggerisci con il tuo spirito soluzioni nuove, gesti generosi ed onorevoli, spazi di dialogo e di paziente attesa più fecondi delle affrettate scadenze della guerra. Concedi al nostro tempo giorni di pace. Mai più la guerra! Amen”.

 

  

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